Bangladesh, le ragioni della protesta

La Corte Suprema prova a gettare acqua sull'incendio scatenato dalla rivolta studentesca per le quote riservate ai figli dei combattenti per l'indipendenza

Oggi prevista la pubblicazione ufficiale in Gazzetta della sentenza della Corte Suprema di Dacca rivede il sistema delle quote contestato dagli studenti. Ma rimangono tutti i nodi politici. E un bilancio ancora provvisorio: 163 morti, più di 500 arresti

di Giuliano Battiston

Resta tesa la situazione in Bangladesh e provvisorio il bilancio delle vittime, dopo settimane di manifestazioni studentesche e giornate di scontri e di dura repressione da parte delle forze di sicurezza. Le notizie che arrivano dal Paese, ancora intermittenti a causa del blocco delle comunicazioni imposto dal governo sin da giovedì sera, sono drammatiche: secondo diverse fonti sarebbero almeno 163 le vittime accertate, perlopiù studenti. Più di 500 gli arresti secondo quanto dichiarato all’agenzia France Press da Faruk Hossain, portavoce della polizia di Dacca. Tra loro anche Amir Khosru Mahmud Chowdhury e Ruhul Kabir Rizvi Ahmed, esponenti di spicco del principale partito di opposizione, il Bangladesh Nationalist Party (Bnp) e Mia Golam Parwar, il segretario generale del più grande partito islamista del Paese, Jamaat-e-Islami. La maggior parte degli scontri e dei morti si è registrata a Dacca, capitale di questo Paese da 170 milioni di abitanti e la città in cui i cittadini hanno visto sfilare minacciosamente i carro armati dell’esercito sulle vie principali. Il governo della prima ministra Skeikh Hasina, al potere ininterrottamente dal 2009, ha infatti introdotto il coprifuoco, con ordine – così sostengono in molti – di sparare a vista.

La repressione indiscriminata delle manifestazioni è una delle ragioni per cui non basterà la decisione della Corte Suprema a calmare le acque e a risolvere la più grave crisi politica che Skeikh Hasina, leader dell’Awami League, si trova ad affrontare da quando è al potere. Domenica 21 luglio una sezione della Corte suprema di Dacca ha infatti rivisto il sistema delle quote riservate nei posti di lavoro del servizio pubblico. Sheikh Mujibur Rahman, padre della patria, e padre dell’attuale prima ministra, nel 1972 aveva introdotto una quota riservata ai figli e nipoti dei combattenti per la libertà, quanti hanno contribuito all’indipendenza dell’allora Bengala orientale dal Pakistan, ottenuta nel 1971. Nel corso dei decenni quella norma è diventata strumento di corruzione e nepotismo, accusano gli studenti, tanto che nel 2018 Sheikh Hasina è stata costretta a rimuovere la norma, ma lo scorso giugno l’Alta Corte l’aveva reintrodotta, a seguito di una richiesta legale da parte di 7 famiglie di combattenti.

Così, nei primi giorni di luglio sono state organizzate manifestazioni, prima a Dacca, poi in molte altre città. Gli studenti e le studentesse chiedevano l’abrogazione della norma che destinava il 30% dei posti di lavoro agli eredi dei combattenti, (il sistema prevede inoltre il 10% a chi proviene dalle aree più svantaggiate del Paese, il 10 alle donne, il 5 alle minoranze, l’1 ai disabili). La decisione di domenica della Corte suprema riduce la quota per gli eredi dei combattenti per la liberà al 5%, l’1% alle minoranze etniche e l’1% alle persone con disabilità e alla comunità di terzo genere.

Un verdetto che verrà reso ufficiale sulla Gazzetta già oggi… (continua su Lettera22)

In copertina: scontri a Dacca (Shutterstock licenza)

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