La guerra dal Vicino Oriente si espande. Il punto

Cisgiordania, Ucraina, Mediterraneo attraversati dai venti di un conflitto crescente

di Raffaele Crocco

L’attacco è stato simultaneo, in diverse città. La Cisgiordania è diventata come la Striscia di Gaza, terra di una “operazione militare speciale” concepita dal governo Netanyahu, che appare sempre più determinato ad arrivare ad una soluzione finale per il popolo palestinese.

Una cosa di questo genere non accadeva dalla Seconda Intifada, dal 2005. Una scelta, quella di Tel Aviv, che ha messo in imbarazzo anche i più fedeli alleati: Stati Uniti ed Unione Europea. Netanyahu, nell’impunità più totale, ha messo fine alla farsa delle trattative per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza dopo 10 mesi di massacri ed ha alzato l’asticella dello scontro. Ha lanciato, in nome di un bizzarro e originale principio di “diritto all’autodifesa”, un “attacco preventivo” contro le postazioni di hezbollah in Libano e, quasi contemporaneamente, ha attaccato i territori dell’Autorità Palestinese, occupando terre non sue. L’operazione è arrivata all’indomani della decisione degli Stati Uniti di sanzionare i coloni israeliani per le violenze contro i palestinesi in Cisgiordania. Qualche osservatore internazionale parla di “risposta arrogante” del governo Netanyahu alle decisioni di Washington, giusto per dimostrare chi è padrone in Israele.

Insomma, la guerra nel Vicino Oriente si espande. I palestinesi hanno promesso di reagire e Hamas parla di tornare agli “attacchi suicidi”. La tensione è palpabile, lo smacco diplomatico per Washington evidente. E gli Stati Uniti sembrano cercare nuovi referenti nell’area. Ce lo racconta ciò che fa l’industria degli armamenti statunitense, che ammette di osservare con attenzione l’evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita. L’amministrazione Biden si avvicina rapidamente alla firma di un patto di sicurezza e assistenza nucleare civile con Riyadh. Se concluso, il patto potrebbe includere un accordo collaterale per la revoca del divieto sulle armi offensive imposto in precedenza dagli Stati Uniti. Una scelta che aprirebbe la strada ad un potenziale aumento della vendita di sistemi d’arma avanzati.

Mentre tutto questo avviene, nel Mediterraneo orientale, al largo di Alessandria d’Egitto, la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese (PLAN) e la marina egiziana si sono esercitate assieme. Le navi coinvolte hanno navigato in formazione, coordinanando comunicazioni e manovre per il rifornimento marittimo, dimostrando una stretta collaborazione. Nei giorni precedenti, le navi cinesi erano state ad Alessandria, per scambi professionali e attività sociali. Obiettivo: rafforzare i legami tra le due nazioni.

È, quella nel Vicino Oriente e nel Mediterraneo, una situazione sempre più tesa, sempre più pericolosa. Esattamente come in Ucraina. Là si ha l’impressione di una illogicità crescente e sempre più allarmante. I costi oggettivi che i due contendenti stanno sopportando superano abbondantemente i possibili risultati finali. Qual è la situazione nelle ultime settimane, dopo 30 mesi di guerra e probabilmente 700mila perdite complessive – parliamo di militari russi e ucraini – e circa 40mila civili morti?

Da un lato abbiamo le truppe russe che avanzano ancora in territorio ucraino, nelle regioni del Donetsk le regioni annesse. Avanzano con una pressione costante, che ha obbligato qui l’Ucraina a scegliere un atteggiamento prettamente difensivo. L’avanzata delle forze armate di Mosca c’è stata soprattutto negli ultimi due mesi, anche se con modestissimi risultati.

Per rispondere a questa pressione costante dei russi – resa possibile dal fatto oggettivo e non irrilevante che Mosca ha più soldati da gettare nel tritacarne della guerra – l’Ucraina ha lanciato l’offensiva nella regione russa confinante di Kursk. Una manovra interessante. Se davvero riuscirà, costringendo le forze russe ad abbandonare la linea del fronte nel Donetsk per tornare a difendere il suolo russo, l’azione potrebbe rappresentare per l’Ucraina una valida moneta di scambio in caso di futuri negoziati di pace. Perché una cosa che appare abbastanza chiara sul piano militare è che Kiev non riuscirà mai a riprendersi, armi in mano, le province occupate dalla Russia. Altrettanto evidente è che Mosca non potrà mai allargare le proprie conquiste, almeno non in tempi brevi. Mosca ha visto mettere a nudo il bluff della propria macchina militare. Ha un esercito teoricamente potente, ma fragilissimo dal punto di vista della logistica e delle linee di comando. E questo può essere il vero pericolo: con l’evidente incapacità di vincere e con in più un esercito – quello di Kiev – ad invadere territori, la tentazione di Putin o del gruppo dirigente del Cremlino potrebbe essere quella di alzare l’asticella dello scontro. E usare armi nucleari.

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