Tutte le voci della guerra. Il punto

Creare nella Ue una “Autorità per l’industria della difesa”, che centralizzi gli appalti  e coordini gli approvvigionamenti? Un salto di qualità inquietante e l’ennesimo segno di come si voglia far prevalere una economia bellica

di Raffaele Crocco

Non ci sono dubbi sulla tensione crescente a livello internazionale, sulla globalizzazione sempre più probabile dello scontro. Un altro indizio del pericoloso Risiko mondiale che qualcuno sta giocando viene da una riunione di qualche giorno fa, a Bruxelles. Lì, il 4 settembre, la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha incontrato Mario Draghi, estensore di un dettagliato rapporto sula complesso militare-industriale dell’Unione Europea.

Cosa ha detto, Draghi? Sostanzialmente due cose. La prima è che l’industria militare dell’Unione deve avere immediatamente acceso ai finanziamenti europei e alla possibilità di fondersi, cioè creare grandi concentrazioni, a prescindere delle attuali norme comunitarie, per restare sul mercato internazionale. Poi, la seconda cosa, ha spiegato che è necessario creare una “Autorità per l’industria della difesa”, che centralizzi gli appalti per i Paesi europei e coordini gli approvvigionamenti.

E’ oggettivamente un salto di qualità inquietante. E’ l’ennesimo segno di come in Europa si voglia far prevalere una economia di guerra rispetto a tutto il resto, utilizzando per altro gli investimenti militari come una sorta di “interventismo statale”, che permetta all’economia continentale di riprendersi. E’ quello che fece il vecchio Presidente statunitense Ronald Reagan negli anni ’80 del secolo scorso. Allora lo chiamarono “keynesismo militare”. Attenzione però: è anche quello che fece Adolf Hitler negli anni’30 dello stesso secolo, per far uscire la Germania dalla crisi economica del post Prima Guerra Mondiale.

Altrove, le cose non vanno meglio. In Asia, ad esempio, c’è da registrare il vertice tra il Primo ministro giapponese Fumio Kishida e il Presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol. Viene da dire: gran cosa. E’ la prima volta che i due Paesi si incontrano, dopo secoli di incomprensioni e lotte. Dietro all’incontro, però, c’è l’ombra delle minacce che, nell’area, arrivano dalla Corea del Nord e in qualche modo dalla Cina. Così, i due governi si sono avvicinati, lavorando ad una triangolazione politico-militare che coinvolge gli Stati Uniti.

Insomma, non ci si incontra per la Pace, ma per prepararsi meglio alla guerra. Guerra che continua feroce in Ucraina. L’offensiva di Kiev in Russia, nella regione di Kursk, si è di fatto fermata. L’obiettivo di raggiungere la centrale nucleare di Kurchatov, il cui controllo avrebbe messo in difficoltà la logistica russa, è fallito. Gli esperti pensano che terminato lo sfollamento dei 180mila civili dell’area, i russi contrattaccheranno e ci andranno pesanti. Nel frattempo, Mosca ha aumentato la pressione sull’Ucraina. I bombardamenti si sono moltiplicati, colpendo anche Kiev e Leopoli. Nel Donetsk, invece, la pressione russa sulle forze di terra ucraine sta diventando sempre più difficile da reggere. Il timore di uno sfondamento è concreto e gli osservatori militari pensano che la regione sia di fatto perduta.

Una situazione complessa per il Presidente ucraino Zelensky, che si ritrova a gestire anche un poderoso rimpasto di governo. E’ cambiata metà della formazione, con le dimissioni importanti del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. C’è chi parla di “uomo solo al comando”: di certo la democrazia Ucraina, da sempre fragile, vive momenti difficili.

A dispetto delle proteste poderose, resta invece in sella il governo israeliano, che continua l’offensiva contro i palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e contro hezbollah in Libano. Da ricordare un particolare fondamentale. Le proteste in piazza, con decine di migliaia di cittadini, non sono convocate per fermare la guerra in nome della Pace. Sono più semplicemente organizzate per chiedere al governo una tregua che faciliti la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, per poi riprendere la guerra. Chi protesta vuole solo abbattere Netanyahu, non vuole un accordo di pace con i palestinesi.

E’ un dato che non viene molto narrato, ma che ci regala l’esatta dimensione della tragedia del Vicino Oriente. Nel frattempo, si attende la nuova bozza di proposta di cessate il fuoco preparata dai negoziatori statunitensi, egiziani e del Qatar. Ci saranno dettagli sull’attuazione della tregua a Gaza e di scambio degli ostaggi. In più, si indicheranno le condizioni per le quali le parti potranno tornare a combattere. La proposta specificherà anche per quanto tempo potrà durare la presenza israeliana nel corridoio Filadelfia, la lingua di terra tra Gaza e l’Egitto. I negoziatori dicono che il documento soddisfa “la maggior parte” delle richieste di Hamas, ma gli osservatori internazionali ritengono improbabile che l’organizzazione politico-militare palestinese aderisca. A gettare benzina sul fuoco ha pensato il ministro alla Sicurezza nazionale d’Israele, Itamar Ben Gvir. In un’intervista alla radio ha spiegato che “la politica permette di pregare sul Monte del Tempio, c’è parità di diritto tra ebrei e musulmani. Io ci costruirei una sinagoga”.

Nel grande Risiko mondiale, nello scontro fra “filoamericani” e “antagonisti”, qualcosa accade anche ad Ankara, in Turchia. Nei prossimi giorni, i ministri degli Esteri di Somalia e Etiopia si incontreranno per discutere le divergenze sull’accordo portuale sottoscritto tra Addis Abeba e la regione separatista somala del Somaliland. L’accordo garantisce all’Etiopia un contratto di locazione di 50 anni su una base navale, con accesso al porto di Berbera, in Somaliland. Un accordo fatto alle spalle di Mogadiscio, che non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Somaliland. La tensione fra i due Paesi è crescente, si teme lo scontro. Per questo il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, tenterà di trovare una mediazione.

Tags:

Ads

You May Also Like

Il dittatore e l’Europa in ginocchio

di Ilario Pedrini Il leader dell’opposizione turca Selahattin Demirtas spara a zero sul presidente ...

Myanmar: pentole contro la dittatura

I birmani reagiscono al colpo di stato con campagne di disobbedienza civile non violenta. Mentre si riunisce il Consiglio di sicurezza dell'Onu ma Cina e Russia vogliono evitare condanne

di Emanuele Giordana La chiamano “Iron Campaign”, una protesta non violenta che parte dalle ...

Tensioni sul voto in Colombia

La violenza pesa sulle urne delle campagne nel ballottaggio del prossimo 19 giugno. Record negativo per i diritti umani

di Maurizio Sacchi La serrata competizione per la presidenza della Colombia continua  in un ...