di Rita Cantalino
A inizio settembre di quest’anno la Carovana dei ghiacciai promossa da Legambiente ha raggiunto la Marmolada. Tra i rifiuti raccolti dagli attivisti del tour per verificare lo stato di salute della Regina delle Dolomiti, c’erano residui di proiettili e armi risalenti alla Prima Guerra Mondiale. Armi, sostanze chimiche che negli ultimi cento anni hanno riposato sui nostri ghiacciai.
La guerra avvelena i territori, fa impazzire il clima. Ma le attività a essa connesse devastano l’ambiente anche quando non si combatte. Il settore militare è tra i principali inquinatori al mondo. Con le sue 4.127 installazioni su 19 milioni di acri di suolo, e i suoi 39.000 siti contaminati in tutti gli Stati Uniti, il Pentagono è tra i principali attori di contaminazione globale.
C’è l’inquinamento del settore militare, innanzitutto. C’è quello delle attività militari di guerra, che approfondiremo in questo dossier. E poi c’è quello del dopo. Accanto alle vite cancellate da una guerra, ci sono quelle di chi resta a fare i conti con la devastazione ambientale, con la crisi economica che arresta gli avanzamenti ecologici, con la ricostruzione. Quando finisce una guerra, ci sono persone che non troveranno la pace. Intere aree che continueranno a pagare, alcune per sempre, il prezzo dei combattimenti.
*In copertina foto di Gerd Altmann da Pixabay, di seguito foto di Gerd Altmann da Pixabay

Gli impatti globali della guerra sul clima
Gli apparati militari hanno un peso elevato nella produzione di emissioni di CO2. Esiste una correlazione documentata tra spesa militare di un paese e la sua impronta carbonica: sono direttamente proporzionali. Lo dimostra il fatto che nove dei dieci paesi responsabili del 60% delle emissioni globali sono anche tra i primi venti per spesa militare.
L’impronta carbonica, già elevata, delle attività militari, si impenna nel corso delle guerre. Diventa evidente guardando a Gaza. I primi due mesi di guerra hanno rilasciato più emissioni di CO2 di quanto, ogni anno, fanno i venti paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici: 281mila tonnellate. I 200 cargo americani che hanno consegnato a Israele attrezzature militari nello stesso intervallo di tempo hanno bruciato 50 milioni di litri di carburante e rilasciato 133mila tonnellate di anidride carbonica.
Se il settore militare fosse una nazione, le sue emissioni la collocherebbero al quarto posto al mondo, dopo Stati Uniti, Cina e India. Un calcolo specifico degli impatti climatici risulta complicato: i governi non sono obbligati a rendicontarli, i dati a nostra disposizione sono parziali. Tuttavia, incrociando le informazioni sulle emissioni di CO2 dei diversi settori produttivi e civili, su spese militari e impronta carbonica dei singoli paesi, una ricerca ha stimato che le emissioni di gas serra legate ai settori militari sono il 5,5% di quelle globali. Si tratta di più della somma degli impatti del settore aeronautico e di quello navale.
Gli impatti locali della guerra sull’ambiente
Durante una guerra intere aree vengono lasciate alle mercé di eserciti e diventano basi militari. Buchi neri, dove si utilizzano prodotti tossici i cui residui restano a lungo nell’ambiente. Fuori dalle basi, dove la guerra avanza, il passaggio di mezzi pesanti danneggia il suolo, creando problemi per l’agricoltura. L’inquinamento acustico devasta gli ecosistemi, generando danni alla biodiversità. Le esplosioni di ordigni ad alto impatto rilasciano gas serra, così come gli incendi. I mezzi di spostamento sono inefficienti dal punto di vista energetico. Vanno poi considerati gli attacchi intenzionali, come la distruzione di dighe, gli abbattimenti aerei e navali. Negli anni della guerra fredda sono stati liberati nell’oceano 50 testate nucleari e 11 reattori. All’alto consumo di energie fossili delle basi militari, si somma l’incenerimento di rifiuti, spesso a cielo aperto, insieme ad armi e plastiche, come documentato in Iraq e Afghanistan.
E poi ci sono gli impatti delle armi chimiche. Nella Prima Guerra Mondiale sono state utilizzate 125mila tonnellate di agenti chimici. In Vietnam sono state rilasciate 96mila tonnellate tra Napalm, Lacrimogeno CS e il devastante Agente Arancio, che ha ucciso o reso disabili 400mila persone, comportato la nascita di 500mila bambini con malformazioni e creato problemi di salute a un milione di persone. Del resto, in guerra si utilizzano sostanze già bandite per la loro tossicità, come i clorofluorocarburi, vietati dal Protocollo di Montreal del 1987 per aver causato danni allo strato di ozono.
Con le armi di distruzione di massa si sono aggiunti i danni alla biosfera generati dalle radiazioni e la radiotossicità, in grado di provocare disturbi atmosferici, climatici e meteorologici. Le armi nucleari rilasciano sostanze come lo Stronzio-90 o l’uranio impoverito, che si accumulano nell’ambiente e negli organismi, causando gravi problemi di salute.