Dossier/ Guerra alla Terra: l’impatto ambientale delle attività militari (4)

di Rita Cantalino

Secondo l’analisi di un gruppo di esperti in monitoraggio delle emissioni, i primi diciotto mesi di guerra in Ucraina hanno generato 150 milioni di tonnellate di emissioni di Co2 e altri gas serra. Per rendere idea della portata del danno ambientale, è la stessa quantità che genera in un anno uno stato molto industrializzato come il Belgio. Nel calcolo sono incluse anche le emissioni generate dal sabotaggio del Nord Stream 1 e 2, per il quale non abbiamo ancora dati sulla quantità di gas dispersa.

Un quarto delle emissioni monitorate deriva direttamente dalle attività militari: utilizzo di carburante, di munizioni ed equipaggiamenti da guerra, costruzione di fortificazioni. La guerra ha portato distruzione sul territorio in diverse maniere. Una delle più rilevanti sono gli incendi boschivi: da soli hanno generato 22,2 milioni di tonnellate di Co2.

La chiusura dello spazio aereo della Russia in area siberiana e dell’Ucraina per il traffico commerciale e le deviazioni necessarie hanno allungato la percorrenza dei voli. La Co2 emessa dalle nuove tratte ammonta a circa 18 milioni di tonnellate. Gli attacchi russi hanno distrutto o danneggiato numerose infrastrutture civili: la loro riparazione pesa per il 36% delle emissioni.

Dossier/ Guerra alla Terra: l’impatto ambientale delle attività militari (1)

Dossier/ Guerra alla Terra: l’impatto ambientale delle attività militari (2)

Dossier/ Guerra alla Terra: l’impatto ambientale delle attività militari (3)

Impatti ambientali della guerra in Ucraina

Prima dell’inizio della guerra in Ucraina esistevano già criticità ambientali. Il paese era industrializzato con impianti vetusti, tecnologie antiquate e fortemente inquinanti. L’aria aveva una qualità molto bassa e c’erano problemi di scarsità d’acqua e nella gestione dei rifiuti solidi, sia industriali sia domestici. In questo quadro è arrivata l’invasione, che ha generato incidenti negli impianti industriali, oltre a impedirne gestione e monitoraggio. Sarà molto complicato, secondo gli esperti, valutare il danno. La bonifica sarà complicata dall’elevato numero di ordigni e mine inesplose.

La guerra ha militarizzato molte aree naturali: boschi, foreste, fiumi, bacini e coste. I danni si sono estesi alle infrastrutture al largo e nelle enormi aree agricole. Le attività belliche e l’uso intensivo di armi esplosive hanno devastato le città, distruggendo le reti idriche e igienico sanitarie, facendo precipitare la qualità di aria e suoli e producendo detriti contenenti materiali pericolosi come scarti edilizi e amianto.

L’attacco alle infrastrutture idriche ha generato inquinamento e inondazioni e lasciato la popolazione senz’acqua. I danni alle strutture di trattamento hanno determinato scarichi di acque reflue nell’ambiente. I rischi sono altissimi nel Donbass, già prima delle ostilità colpito da scarsità della risorsa, ma l’accesso all’acqua è un problema anche per la pressione di alcune aree che hanno accolto le persone sfollate. Non siamo in grado di quantificare il danno alla qualità delle acque perché al momento il paese ha una scarsa capacità di monitoraggio.

L’aria delle città, visto il blocco delle attività industriali, è migliorata, ma eventi bellici circoscritti e altamente inquinanti hanno esposto la popolazione a inquinanti dispersi nell’aria. Sostanze liberate dall’elevato numero di incendi, dagli impianti chimici e dai detriti stessi. Sostanze che si sono depositate sulla vegetazione, sui terreni, sulle acque di superficie.

Impatti su ecosistemi insostituibili

Nel primo anno di guerra gli incendi si sono estesi a un’area pari a un milione di campi da calcio. La maggior parte erano lungo le linee del fronte, in zone agricole. Una percentuale consistente (12%) si è verificata nel perimetro della Rete Smeraldo, una rete di aree europee di forte interesse per la biodiversità. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: colpita la fauna selvatica e la vegetazione, contaminazione delle acque ed erosione dei suoli. Non riusciamo a misurare il danno: la presenza di mine e ordigni inesplosi rende impossibile il monitoraggio.

Si stima che per riportare la silvicoltura a prima di febbraio 2022 serviranno tra i 60 e gli 80 anni. Più avanzano le ostilità, più gli incendi diventano devastanti: manca chi possa spegnerli. I vigili del fuoco, per la loro conoscenza del territorio, sono stati tra le prime risorse mobilitate per la guerra; molti combattono o sono morti. Questo accade in un contesto in cui il rischio di incendi è maggiore per le attività militari, la scarsa gestione delle risorse forestali e la presenza di ordigni inesplosi.

Danni ai suoli e alle strutture agricoli e ai sistemi di irrigazione vuol dire danni alla capacità di sussistenza nazionale e, nel caso dell’Ucraina, alla sicurezza alimentare internazionale. Gli attacchi a strutture di stoccaggio di sostanze come fertilizzanti e pesticidi le hanno liberate nell’aria; quelli alle strutture di allevamento hanno causato la morte di massa degli animali. Entrambi i fattori, inoltre, generano il rischio di inquinamento microbiologico.

Anche gli ecosistemi marini sono stati colpiti. Le attività militari hanno generato inquinamento chimico che potrebbe arrivare alle coste dei paesi che affacciano sul Mar Nero. La guerra ha anche cambiato le aree di navigazione e di pesca. Questo, insieme ai numerosi incidenti a porti, strutture e imbarcazioni, militari e non, ha peggiorato la situazione. L’uso prolungato di sonar ha danneggiato la vita marina ed è stato associato alla morte di numerosi delfini e focene.

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