Cuba resta il caimano ribelle, ma senza medicine

Chissà se Fidel Castro Ruz è morto prima che il suo “mito” si sbiadisse ma è certo che qui è ancora pianto e amato anche da chi oggi è critico. Il reportage

di Andrea Cegna da l’Avana

“Guadagno 2200 pesos cubani al mese, acqua e luce me li paga lo stato, la casa l’ho costruita con i soldi che arrivano. Prima compravo di tutto, un pacchetto di 12 uova costava 30 pesos e un panino da 80 grammi 50 centesimi” così racconta un contadino che coltiva tabacco, mais e fagioli. E’ stipendiato dallo Stato, nonostante le difficoltà è felice di vivere a Cuba e non andrebbe da altre parti. “Sai quando Fidel era vivo era tutto diverso, più facile. Lui vedeva avanti e metteva la faccia quando serviva” aggiunge. Uno dei tanti racconti, carichi di dignità e orgoglio per la propria storia, ma anche pieno di stanchezza per una situazione economica sempre più difficile determinata in primis dal “bloqueo” ma non solo.

Cuba resta il caimano ribelle, resta un posto speciale, unico, dove le persone studiano e si curano ma oggi non ci sono medicine. Un medico reumatologo mi racconta che in ospedale mancano tante cose “ma qualcosa si fa”. “I giovani”, prosegue, “dicono che è durissima ma il periodo especial fu peggiore”. Sua madre, 90 anni, piange Fidel, Camilo ed il Che, dice “le persone non sanno come si viveva prima. Certo è dura oggi ma non possiamo perdere tutto e tornare a vivere con pochi ricchi e tanti poveri”. A Cuba gli stipendi si sono bloccati, l’inflazione è cresciuta a dismisura, il mercato misto statale/privato e 3 monete “ufficiali” in circolazione rendono tutto più complesso, i prodotti a prezzi calmierati non arrivano più, le paghe basse scoraggino le persone che non hanno così voglia di lavorare.

L’Avana è piena di spazzatura in tante, troppe zone della città, mentre altre sono a lucido per accogliere turisti da tutto il mondo. Turisti in calo tanto che gli hotel e le case particular della Capitale, ma anche delle altre mete del turismo di massa, si contendono chi arriva. “Si muore di fame e non è mai stato così prima” dice una ragazza che ha lasciato l’insegnamento perchè con 4000 pesos al mese (13 euro circa) non poteva vivere e con la madre ha preso la licenza per vendere vestiti usati nell’ingresso di casa. “Se vendo 1 o 2 cose alla settimana guadagno di più. Ma io sono andata a vedere come si vive negli Stati Uniti, Io così non voglio viverci, io voglio che i politici al potere trovino una soluzione. L’embargo ci attanaglia ma l’embargo c’era anche con Fidel e con Raul, ma non stavamo così male”.

Chissà se Fidel Castro Ruz è morto prima che il suo “mito” si sbiadisse ma è certo che qui è ancora pianto e amato anche da chi oggi è critico con il Partito Comunista Cubano, con il Comunismo e che forse in fondo in fondo, senza dirlo, una svolta capitalista la vorrebbe…anche perché non sano davvero che voglia dire. Certo è che i racconti su Fidel sono importanti, non c’è persona che non ricordi qualcosa che lo teneva vicino a quel gigante politico che sono la vecchiaia ha ucciso. Se c’è una critica che ho sentito è di un giovane che dice…”per troppi anni non ha parlato, si era ritirato e noi avevamo bisogno di lui”. Fidel a parte la situazione a Cuba è certo difficile ed è anche certo che la cultura qui è un qualcosa che grazie alla garanzia (e obbligo) di studiare permette alla popolazione di trovare escamotage. C’è chi laureato esce dal paese e trova fortuna altrove, c’è chi lavora con il turismo perchè a scuola ha imparato altre lingue, c’è chi è fisioterapista e fa massaggi, c’è chi affitta case, c’è chi chiede l’elemosina (come mai nella storia), c’è chi suona, c’è chi ha sistemato una Chevrolete anni ’50 e la usa come taxi, c’è chi sogna che a Cuba si possa continuare con la rivoluzione cambiando passo, senza uscire dal partito unico, senza inseguire i luccichii occidentali ma senza nemmeno essere soggiogati da un sistema che non regge più.

In questo contesto complesso, difficile, dove vedi le emozioni delle persone contrastare si sta sviluppando, tra giovani e giovanissimi, un nuovo genere musica, sessista e violento (in antitesi con gli sforzi socio-culturali della formazione cultura cubana) il “reparto”. Un genere che mescola l’afrobeat, il funk carioca, la timba, il punk rock, il dembow, la rumba, il pop, la trap e la musica elettronica. I “clap” (usati al posto del rullante) che danno il ritmo alla clave sono ritardati per creare il caratteristico groove. Viene anche chiamato “chocolateo” e si sta diffondendo in tutta l’America Latina. Viene chiamato anche “chocolateo” per un passo di danza tipico che così, gergalmente, si è diffuso. Insomma la spinta cubana resta presente nell’immaginario e nel mondo latino americano. Un posto unico, tutt’ora da studiare e capire, senza schiacciarsi nelle polarizzazioni strumentali ad interessi politici e di campo, certamente da valorizzare nella sua differenza storica e politica, sicuramente interessante è pensare e capire come, anche ora nella profonda difficoltà, i sentimenti anti-rivoluzionari non stiano prendendo piede perché la grandezza di quella vittoria e di quel sogno iniziato nel 1959 è ancora un qualcosa di degno e forte nelle menti di chi vive l’isola anche di chi ha parenti all’estero che mandano soldi…perché i “ma però” che ho sentito, l’orgoglio di essere liberi, solari, creativi, e diversi da tutte le altre esperienze del continente rende il cubano e la cubana felici….e cercano una nuova sfida per stare bene, perché come si sta vivendo nell’isola è una sorta di resistenza quotidiana.

Nonostante tutto sorridono, chiedono di più, vogliono di più, ma vogliono restare un “caimano ribelle” dove però si trovi lo zucchero ed il sale, dove vendere qualsiasi cosa (anche se stess@) sia una scelta libera e non una costrizione economica, dove non si debba aver paura di dire come la si pensi, dove insomma la rivoluzione del 1959 torni a battere quei ritmi che hanno fatto si che il sogno diventasse libertà.

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