di Silvia Orri
La costa occidentale del Marocco attrae un numero elevato di visitatori durante tutto l’anno. Lunghe spiagge, cittadine dedite alla pesca che offrono prelibati piatti a base di pesce, onde favorevoli al surf, clima mite che invita alle passeggiate serali anche durante i freddi mesi dell’inverno europeo. Le stesse coste dalle quali si ammira l’immensità dell’oceano atlantico sono però testimoni di sofferenze tanto profonde quanto gli abissi in cui si perpetrano. Nel 2024, 9.757 persone sono morte intraprendendo la rotta atlantica (rapporto Right to Life 2024, Caminando Fronteras).
Chiacchierando con le persone incontrate ad Essaouira non è difficile raccogliere testimonianze di abitanti i cui conoscenti hanno tentato di raggiungere le Isole Canarie partendo dalle spiagge marocchine che si affacciano sull’oceano atlantico. Isaac mostra le immagini di un amico sopravvissuto alla traversata partita da Agadir. Personalmente dice di avere troppa paura di tentare il rischiosissimo viaggio intrapreso dall’amico ma racconta delle molte persone che stanno partendo.
Apparentemente il Marocco può risultare, se analizzato in superficie, un paese che ambisce ad un futuro prospero e democratico, perlomeno maggiormente rispetto a paesi vicini come Tunisia, Libia, Algeria, caratterizzati da stabilità politiche fragilissime. Un rapporto dell’aprile 2024 dell’Alto Commissariato per la Pianificazione (Hcp) informa che il Marocco ha raggiunto un’aspettativa di vita di 77 anni, che fino a 10 anni fa era di 74. Questo, anche grazie alla costruzione di infrastrutture sanitarie con il conseguente aumento di ospedali e posti letto. Il governo, negli ultimi anni, ha stanziato più fondi nel settore sanitario, con la speranza di migliorare l’accesso alle cure per l’intera popolazione. Il bilancio sanitario è passato da 13,8 miliardi di dirham nel 2012 a 19,5 miliardi nel 2020. Sono dati che sicuramente confortano e che instillano speranza.

Dietro ai dati ci sono però da prendere in considerazioni le voci e le vite dei residenti, specialmente di quelli più giovani, le cui aspettative non possono essere esaudite senza assicurare loro le libertà necessarie per poter concretizzare le proprie aspirazioni. Se si chiede un parere sull’operato del governo di Mohammed VI, il timore nell’esprimere la propria opinione è diffusissimo e sembra che le persone si sentano costantemente sotto osservazione preferendo alcune volte cambiare discorso o far capire che è meglio raccontare “che va tutto bene” per evitare che i passanti ascoltino le lamentele.
Giornalisti, dissidenti ed attivisti si trovano in sempre maggiore difficoltà nell’esercizio del proprio diritto alla libertà di pensiero. Diffamazioni, persecuzioni, trattenimenti ed incarcerazioni sono da tenere in conto per chi tenta di criticare il governo e diffondere informazioni indipendenti da quelle dei canali ufficiali. In un rapporto di Human Rights Watch di due anni fa, intitolato “They’ll Get You No Matter What”, l’organizzazione ha descritto le tattiche con le quali le autorità marocchine silenziano i tentativi di dissidenza.
Sorveglianza fisica ed elettronica, incarcerazioni abusive, processi distorti e verdetti ingiusti, campagne di diffamazione nei media filo-statali dei critici, dei loro parenti e associati e apparentemente l’uso occasionale della violenza fisica e dell’intimidazione sono tra gli strumenti utilizzati da uno stato che diventa sempre più repressivo per mettere a tacere i suoi critici più accesi e intimidire gli altri. L’inchiesta, basata sulle interviste a quasi 90 persone e sull’analisi di 12 processi che hanno coinvolto otto giornalisti e intellettuali, è la prima ricerca su larga scala sulla metodologia utilizzata dal regime di Rabat negli ultimi dieci anni per “imbavagliare i dissidenti” e “scoraggiare tutti i potenziali critici dello Stato”. Si prendono in considerazione i casi, ad esempio, di giornalisti come Omar Radi, Hicham Mansouri, Soulaimane Raissouni, Hajar Raissouni e Taoufik Bouachrine, di attivisti per i diritti umani come Maati Monjib e Fouad Abdelmoumni, e dell’avvocato Mohammed Ziane. Situazione segnalata più volte anche dall’attivista Mohamed Dihani. attivista saharawi. Nel 2015, Dihani è stato accusato di terrorismo per il suo attivismo a favore dell’indipendenza del Sahara Occidentale e per la difesa dei diritti del popolo saharawi, che vive in parte nei campi profughi in Algeria. Infatti, la regione del Sahara Occidentale è occupata dal 1975 dal Marocco, il quale esercita da decenni una violenta repressione.

Secondo il rapporto di Caminando Fronteras intitolato “Monitoring the right to life” del 2024, dal 2019 la rotta migratoria che parte dalla costa tra Agadir e Dakhla si è distinta come un tratto percorso principalmente da gommoni simili a quelli utilizzati sulle rotte del Mediterraneo, estremamente fragili e pericolosi durante la navigazione nell’Atlantico, dove il mare è molto più agitato. L’analisi delle tragedie avvenute lungo questo percorso rivela una combinazione di fattori che rendono la situazione estremamente grave. Il sovraccarico di barche fragili, capaci di galleggiare per un breve lasso di tempo, porta al naufragio quando la risposta dei servizi di soccorso è in ritardo o inadeguata. Inoltre, nella zona presa in considerazione si sono verificate diverse tragedie nonostante i servizi di soccorso disponessero dell’esatta posizione GPS dell’imbarcazione in pericolo.
Riflettere sulle morti in mare significa anche fare la somma dei diritti umani, senza scala di importanza, negati alle persone che tentano di cambiare la propria vita a qualsiasi prezzo. I paesi di provenienza di chi annega lungo la rotta atlantica sono decine: dal Marocco alla Siria, dal Mali al Bangladesh, dal Gabon all’Iraq. Attraverso una “geografia dei diritti” si possono mappare le azioni intente a ledere la dignità della vita umana e provare a prevenire i processi che portano al deterioramento delle istituzioni che dovrebbero garantire proprio quei diritti. Ogni libertà violata, è un attento al progetto di vita di persone che, in qualche modo, cercheranno la salvezza. Costruiamo una rotta sicura per far sì che quella salvezza non si trasformi in tragedia.