La giustizia internazionale sotto attacco

Come già nel suo primo mandato, Trump vara sanzioni contro la Corte penale internazionale, stavolta a difesa di Israele

di Alessandro De Pascale

“Azioni illegittime e prive di fondamento contro gli Stati Uniti e il nostro stretto alleato Israele”. Per il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, la Corte Penale Internazionale (Cpi) de L’Aia (Paesi Bassi) avrebbe abusato del proprio potere emettendo “mandati di arresto privi di fondamento” contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant. Con queste motivazioni, il 6 febbraio, gli Usa hanno imposto sanzioni all’unico tribunale permanente al mondo che stabilisce le responsabilità delle singole persone per crimini di guerra e contro l’umanità ai danni della comunità internazionale.

Sulla base dell’ordine esecutivo firmato da Trump gli Stati Uniti potranno procedere al blocco di proprietà e beni, nonché vietare l’ingresso negli Stati Uniti a funzionari e dipendenti della Cpi (loro famiglie comprese). Dovrebbe seguire a breve l’elenco di tutte le persone coinvolte dal provvedimento. Al momento, non è stato al contrario deciso alcun blocco per le imprese statunitensi che lavorano per questa istituzione delle Nazioni Unite, con sede nei Paesi Bassi. La decisione del presidente Usa è arrivata mentre il premier israeliano Netanyahu era in visita a Washington, il quale ha ringraziato con un post su X parlando di un’ordine esecutivo che “difende America e Israele da una Corte corrotta, antiamericana e antisemita”.

La Corte Penale Internazionale ha giurisdizione solo sulle 124 nazioni che ne fanno parte. Ovvero quelle che hanno firmato e ratificato lo Statuto di Roma che l’ha istituita, adottato il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1 luglio 2002. Tra queste non figurano grandi potenze mondiali quali Usa, Russia, Cina o Israele, ma la Palestina sì. Trump aveva minacciato le sanzioni ancor prima di insediarsi, quando il 21 novembre la Cpi aveva emesso i mandati di cattura per Netanyahu, Gallant e per il capo del braccio armato di Hamas Mohammad Deif. Lo aveva già fatto durante il suo primo mandato quando la Corte aprì un’indagine sui crimini commessi durante la guerra in Afghanistan: dai talebani, come naturalmente anche dall’esercito statunitense e dalla Cia.

Allora come oggi Trump firmò un ordine esecutivo (il 13928) con sanzioni sanzioni economiche sul personale della Cpi coinvolto nelle indagini contro gli Usa. Vennero inoltre introdotte sanzioni sui visti e revocando quelli già rilasciati, compreso quello dell’allora Procuratore capo della Corte, la giurista gambiana Fatou Bensouda. Decisioni poi revocate dal successore di Trump alla Casa Bianca, John Biden. Ora ci risiamo, rischio di cui erano consapevoli anche alla stessa Cpi. Quando dal 2 al 6 dicembre a L’Aia si è tenuta la 23esima sessione dei 124 Stati che fanno parte della Corte Penale Internazionale l’atmosfera era cupa in attesa di capire cosa sarebbe successo dopo l’insediamento di Trump.

Contro le sanzioni è ovviamente scesa rapidamente in campo l’Onu: “Deploriamo profondamente le sanzioni individuali annunciate giovedì contro il personale della Corte e chiediamo che questa misura venga revocata”, ha dichiarato il giorno dopo la decisione Usa la portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, Ravina Shamdasani. Sostegno anche dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Sempre il 7 febbraio a difesa della Cpi è stata poi diffusa da 79 Paesi membri di questa istituzione (circa 2/3 del totale) una dichiarazione congiunta per denunciare che le sanzioni “comprometterebbero pesantemente tutte le situazioni attualmente sotto inchiesta, poiché la Corte potrebbe dover chiudere i suoi uffici sul campo, aumentando il rischio di impunità per i crimini più gravi e minacciando di erodere lo stato di diritto internazionale”. Tra i firmatari di quella difesa alla Cpi e alle sue prerogative non c’è l’Italia, Stato parte in cui la Corte è nata.

Nella foto di copertina, la sede della Cpi a l’Aia (©Friemann/Stutterstock.com)

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