di Raffaele Crocco
Sarebbe divertente, non fosse drammatico. In settimana, in Canada si è tenuto un vertice del ministri economici del G7. E’ stato in Canada, Stato sovrano e potenza economica mondiale. E’ quello stesso Canada che Trump vorrebbe trasformare in “nuovo Stato degli Stati Uniti”. Lì, come se nulla fosse, il Segretario di stato statunitense, Mario Rubio, ha partecipato alla riunione, evitando di rispondere a qualsiasi domanda sul tema. Una situazione politica imbarazzante.
D’altro canto, gli imbarazzi non mancano in alcun luogo, in questa stagione di Risiko planetario e di scontro non solo fra “filoamericani” e “antagonisti”, ma anche fra alleati reali e potenziali. Lo dimostrano i complessi, attuali, rapporti fra Washington e Kiev. Rientrati i disastri diplomatici nati dalla visita del presidente Zelensky alla Casa Bianca, trovato l’accordo sulla colonizzazione delle terre rare ucraine da parte di Washington, le delegazioni di Stati Uniti e Ucraina si sono ritrovate in Arabia Saudita per discutere su come arrivare alla pace. Kiev ha accettato l’idea di “un mese di tregua totale” da proporre a Putin. L’obiettivo dovrebbe essere quello di aprire una finestra temporale a possibili trattative di pace. Mosca nicchia. Dice di volere garanzie sul fatto che le terre conquistate finora resteranno sue. Kiev chiede agli Stati Uniti di garantire la propria sovranità.
Insomma, al di là delle parole, l’impressione è che le posizioni siano ancora lontanissime. Sul campo di battaglia, intanto, Mosca continua l’offensiva nella regione di Kursk. Le forze russe hanno ripreso il controllo di 12 località che erano state brevemente sotto il controllo delle forze ucraine durante le offensive dell’estate 2024. Un elemento importante, questo, per la strategia di Mosca, che consolida la propria posizione militare lungo quell’area di confine e riduce i margini di manovra degli ucraini in un eventuale negoziato. Contemporaneamente, continuano i bombardamenti sulle infrastruttiure civili e sulle cfittà.
La guerra, insomma, continua. Anche nel Vicino Oriente la guerra sembra non finire mai, nonostante la formale tregua fra Tel Aviv e Hamas, iniziata il 19 gennaio. In settimana, almeno venti palestinesi sarebbero morti durante raid israeliani su Gaza. La tregua appare sempre più fragile, anche per la posizione del governo, consapevole di non aver annullato – come sperava – la capacità militare di Hamas. A Doha sono ripresi i negoziati tra Hamas e Israele per il prolungamento della tregua e il rilascio degli ostaggi. Sul tavolo c’è ancora la proposta statunitense per prolungare il cessate il fuoco di altri 60 giorni. In cambio, i negoziatori propongono il rilascio di 10 ostaggi ancora in vita. Su 59 rapiti ancora a Gaza si ritiene che 24 siano vivi, gli altri 35 morti. Tel Aviv, da parte sua, continua con il blocco degli aiuti umanitari, dell’elettricità e dell’acqua a Gaza. La situazione è drammatica per decine di migliaia di persone, in maggioranza bambini.
Poco distante, sta accadendo ciò che era prevedibile: in Siria sono ripresi i combattimenti. Un attacco alle forze filogovernative da parte di un gruppo alawita, sostenitori dell’ex presidente al Assad, ha scatenato la caccia agli alawiti nel Nord Est del Paese. Il governo non ha neppure attribuito la paternità delle violenze, avvenute soprattutto nelle zone costiere di Latakia e Tartus, e in quelle centrali di Hama e Homs. L’agenzia d’informazioni vaticana riprende i dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, spiegando che i responsabili dei massacri sono stati jihadisti filo-governativi in molti casi stranieri – caucasici, dell’Asia centrale, nordafricani, egiziani, cinesi – “che non riescono a distinguere tra alawiti e cristiani”. Tra le 973 vittime civili accertate -i morti in tutto sarebbero circa 1300 – ci sono anche alcuni cristiani. Lo ha confermato il Patriarca ortodosso di Antiochia.
Nuovi morti, per una guerra antica che sembrava finita. E di vecchi e mai sopiti confronti armati è davvero pieno il Mondo. Ne sanno qualcosa nella Repubblica Democratica del Congo, ancora insanguinata. In Pakistan, invece, un gruppo di indipendentisti beluci ha attaccato in settimana un treno. La risposta delle forze armate è stata feroce e brutale. Alla fine, i morti sarebbero almeno 100.