A Riad, in Arabia Saudita, le delegazioni si incontrano ancora. Ucraina e Russia non si sfiorano nemmeno, parlano solo con i delegati statunitensi, i mediatori. L’attenzione di molti nel Mondo è concentrata lì, su quello che accade, ma al di là di dichiarazioni e comunicati, la tregua appare lontanissima, la pace impossibile. Ucraina e Russia sono ancora in guerra, la verità è questa a dispetto delle sbandierate “vittorie diplomatiche” e dei “passi nella giusta direzione” del presidente statunitense, Trump. I due Paesi sono determinati a non mollare nulla, tentando di uscire da un eventuale negoziato con la vittoria in tasca.
Le condizioni per raggiungere un accordo non ci sono. Kiev non vuole, legittimamente, perdere territori e, soprattutto, non vuole ritrovarsi a vivere nei prossimi decenni con una “sovranità limitata”, legata ai capricci di un padrone: Mosca. La Russia, dal canto suo, ritiene che le condizioni minime per la pace siano nel fatto che Ucraina e comunità internazionale tutta, accettino che i terrori conquistati con l’invasione del febbraio 2022 e la Crimea, occupata in precedenza, siano diventate a pieno titolo e definitivamente terre della Federazione Russa. Poi, chiede che l’Ucraina si autodefinisca “neutrale” per l’eternità, cioè non entri nella Nato o nell’Unione Europea.
In parole povere: Putin chiede al Mondo di riconoscerlo come vincitore e all’Ucraina di sottomettersi. Contemporaneamente, vuole che tutti dimentichino l’evidente violazione del diritto internazionale che c’è stata con l’invasione di uno stato sovrano riconosciuto. Un precedente pericoloso, che aprirebbe la strada a nuove guerre da parte di chiunque. Forse non a caso gli Stati Uniti di Trump sembrano più che disposti ad accettare questa posizione. Dalle scelte fatte dalla delegazione, dalle proposte sul tavolo, si intuisce che l’amministrazione statunitense ritiene l’Ucraina troppo debole per poter rivendicare diritti. Così, le proposte vanno nella direzione di accettare lo stato di fatto, quindi la perdita di territori e di sovranità, in cambio di eventuali aiuti e protezioni future. A pensar male, verrebbe da dire che Washington condivida la politica aggressiva di Putin, immaginando, suoi possibili, futuri scenari: ad esempio a Panama o in Groenlandia.
Così, l’accordo in cinque punti per una prima tregua almeno nel Mar Rosso e, forse, sulle infrastrutture resta, per ora, una mera intenzione. Sul terreno si combatte e si muore. Kiev sta cercando nuove reclute, per fare muro alla pressione dell’esercito russo. I bombardamenti delle città continuano. Insomma, sul campo di battaglia non è cambiato nulla, tanto che anche il segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, ha ammesso che per la pace “ci vorrà tempo, non sarà semplice”.
Ne è convinto anche il presidente ucraino Zelensky, che se dichiara che “la tregua nel Mar Nero va nella giusta direzione”, contemporaneamente chiede agli alleati europei di mandare in Ucraina “truppe pronte a combattere, non peacekeeper. Solo così un’eventuale tregua potrebbe essere garantita”. Il presidente francese Macron pare sula stessa linea di Zelensky. Alla pace non crede, tanto ad avere garantito l’equivalente di altri due miliardi di euro in aiuti militari a Kiev. Lo stesso farà Londra: il governo laburista ha messo sul piatto altri 2,2miliardi di sterline. Così, con il contemporaneo dibattito nell’Unione Europa sul piano di riarmo della presidente von der Leyen, la guerra in Ucraina sembra scavare un solco sempre più profondo fra Stati Uniti e alleati europei. Di certo, alle buone relazioni non contribuisce il vicepresidente statunitense, JD Vance. C’è anche lui nelle chat dello scandalo, quelle relative ai piani statunitensi per bombardare gli Houthi nello Yemen e venute alla luce grazie al giornalista Jeffrey Goldeberg. Nella chat, aperta da funzionari dell’amministrazione Trump, non si parlava solo di guerra. Vance ad un certo punto ha scritto “Non sopporto di salvare di nuovo l’Europa”, definendo poi il Vecchio Continente un “parassita”. Parole interessanti, scritte proprio mentre Trump dava il via libera ai dazi al 25% sulle auto europee importate. Lo ha fatto spiegando che “è iniziata la liberazione dell’America”. Si attendono le reazioni degli Stati europei e dell’Unione. Intanto, Mario Draghi, da un convegno asiatico, spiega che la strada giusta per il Vecchio Continente è mollare gli Usa e cercare nuovi partener commerciali.
La linea sempre più imperialista di Trump sta scardinando giochi e alleanze. Il Risiko cambia e sembra prendere la forma di una “triade” di comando, formata da Stati Uniti, Cina e Russia, pronti a spartirsi il Pianeta. In questo caso, è evidente l’intralcio creato da un’eventuale Unione Europea forte. Nel gioco, a rimetterci saranno come sempre i più deboli: ad esempio l’Ucraina, assieme ai Palestinesi. I bombardamenti e le azioni militari israeliane continuano senza sosta, a Gaza e nella Cisgiordania. I morti, dalla fine della tregua due settimane fa, sono centinaia. In una solo notte almeno 11 persone sono morte: fra loro 5 bambini, uno aveva appena sei mesi. Per le agenzie dell’Onu, sono circa 125mila le persone sfollate dalla ripresa dei combattimenti. “Bombardamenti senza sosta e ordini giornalieri di evacuazione stanno avendo un impatto devastante sull’intera popolazione di più di due milioni di persone”, ha detto il portavoce dell’Onu nel suo bollettino quotidiano. “Nella Striscia – ha aggiunto – lo spazio di sopravvivenza delle famiglie si sta restringendo”.