La tregua sulle infrastrutture teoricamente c’è. Il resto no. In Ucraina, nel giorno 1143 dall’invasione russa, si continua a combattere, senza sosta e senza alcuna pietà. I negoziati voluti dal Presidente statunitense Trump cozzano contro la realtà: Putin non molla, vuole una dichiarazione di resa che Kiev non è disposta ad accettare. E Kiev è ancora sostenuta da molti Paesi europei, poco disponibili ad avere una Russia forte e vincente al confine.
Situazione caotica, quindi, che non trova soluzioni nel negoziato. Così, sul campo si cerca ancora di imporre la vittoria con le armi. L’esercito russo ha avviato un’offensiva a Sumy e Kharkiv. Il Presidente ucraino Zelensky lo aveva annunciato, Oleksandr Syrskyi, comandante in capo delle forze armate ucraine, lo ha confermato, spiegando che “da quasi una settimana sono raddoppiate le operazioni offensive russe in tutte le principali direzioni”. Sembra essere la strategia della “pressione costante” che i russi stanno applicando da tempo, nel tentativo di indebolire l’Ucraina.
Con Washington prosegue la trattativa per lo sfruttamento delle “terre rare”: è il prezzo che Trump chiede per proseguire con gli aiuti militari. L’Europa si muove in modo differente. Dalla Germania arriva un documento in cui Il futuro governo tedesco si impegna a dare “pieno sostegno militare e diplomatico all’Ucraina, affinché possa difendersi efficacemente dall’aggressore russo e affermarsi nei negoziati”. Lo hanno deciso conservatori e socialdemocratici nell’intesa raggiunta per formare il nuovo esecutivo. In parallelo, si muove l’Unione Europea. La Commissaria all’allargamento, Marta Kos, ha annunciato che “è possibile aprire tutti i cluster negoziali tra Ucraina e Unione Europea nel 2025: si tratta di un processo di trasformazione nazionale”. Quindi, si prepara la strada per l’ingresso rapido di Kiev nell’Unione. A rafforzare ipotesi e concetto ha pensato l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas, nella conferenza stampa al termine del consiglio di associazione Ue-Ucraina.
“La Russia – ha dichiarato – sta ancora conducendo una guerra di aggressione contro l’Ucraina e non mostra segni di volerla fermare. Da quando l’Ucraina ha accettato il cessate il fuoco senza condizioni, gli attacchi della Russia sono solo aumentati”. “Lo scorso fine settimana – ha concluso – abbiamo assistito all’attacco più mortale contro bambini ucraini dall’inizio dell’invasione su larga scala. L’Ucraina sta subendo una guerra che solo la Russia vuole continuare”.
La pace fra Russia e Ucraina, quindi, resta un miraggio. Così come la pace nel Vicino Oriente. A Gaza la guerra d’aggressione israeliana continua, feroce. Il ministro della Difesa di Tel Aviv, Israel Katz, ha spiegato in settimana che l’esercito israeliano sta conquistando vaste aree nella Striscia. Mano a mano che ciò accade, quelle terre vengono incorporate in zone cuscinetto liberate dagli abitanti. Questo con l’obiettivo di costringere Hamas a rilasciare gli ostaggi. “Vaste aree vengono prese dalle nostre forze armate e aggiunte alle zone di sicurezza di Israele, lasciando Gaza più piccola e isolata”, ha affermato Katz. Ha anche spiegato che l’offensiva ha già portato a “grandi risultati”, tra cui l’uccisione di oltre 40 comandanti di Hamas e la scoperta di nuovi tunnel. “Il trasferimento della popolazione, la conquista del territorio e il blocco umanitario rafforzano la pressione su Hamas per la liberazione degli ostaggi, un accordo è più probabile di prima”, ha concluso. Mentre ciò accade, i civili continuano a morire, uccisi dai soldati o dalle bombe. La strategia israeliana appare sempre più chiara: annientare i palestinesi, scavalcando il diritto umanitario.
Proprio di questo si occuperà a fine mese la Corte internazionale di giustizia. Tra il 28 aprile e il 2 maggio terrà udienze pubbliche per rispondere alla richiesta di parere consultivo sugli “obblighi di Israele in relazione alla presenza e alle attività delle Nazioni Unite, di altre organizzazioni internazionali e di Stati terzi nel Territorio Palestinese Occupato”. E’ una richiesta di chiarimento molto precisa, avanzata alla Corte dell’Onu il 19 dicembre del 2024, dall’Assemblea delle Nazioni Unite, quando ha adottato la risoluzione A/RES/79/232. Si chiedeva che la Corte internazionale di giustizia emettesse un parere consultivo su quali siano “gli obblighi di Israele, in quanto potenza occupante e membro delle Nazioni Unite, riguardo alla presenza e alle attività delle Nazioni Unite, comprese le sue agenzie e le sue organizzazioni, e di altre organizzazioni internazionali e Stati terzi, nel Territorio Palestinese Occupato”. Quaranta Stati e quattro organizzazioni internazionali hanno già espresso la loro intenzione a partecipare alle udienze. Contemporaneamente, la Francia ha annunciato che potrebbe riconoscere lo Stato palestinese a giugno. Lo ha detto il presidente Emmanuel Macron, in un’intervista a France 5. “Non lo farei per fare piacere all’uno o all’altro, ma perché è giusto”, ha precisato.
Una posizione che, assieme ad altre, spiega la deriva delle relazioni fra Europa e Stati Uniti in questa fase. Gli alleati sembrano allontanarsi e il Risiko mondiale cambia continuamente volto. Sempre nel Vicino Oriente, un missile balistico lanciato dai miliziani yemeniti Houthi verso Israele è caduto in Arabia Saudita. Lo riporta l’esercito di Israele, spiegando di aver individuato il lancio, ma aggiungendo che le sirene di allarme non sono suonate, perché non rappresentava una minaccia. Alleanze che mutano o si formano si diceva: gli Houthi, sciiti, continuano a bombardare e attaccare navi filoisraeliane nel Mar Rosso, in nome della solidarietà ai palestinesi di Gaza, sunniti. Una solidarietà e un’alleanza, questa fra sciiti e sunniti, che solo qualche anno fa sarebbe stata impossibile.
E il gioco delle alleanze e degli scontri prosegue altrove e in altro modo. La Nato, ad esempio, lancia l’allarme Cina. Lo fa per bocca del proprio segretario generale, Mark Rutter, che incontrando il premier giapponese Shigeru Ishiba, spiega che “Pechino sta conducendo una enorme campagna di riarmo. Cerca di controllare le tecnologie chiave e le catene del valore e conduce azioni destabilizzanti nell’Indo-Pacifico”. Una posizione che pare essere sponda perfetta alle politiche del Presidente Trump, sempre più impegnato a contrastare la Cina, anche attraverso la guerra dei dazi che sta scuotendo il Mondo. Le borse mondiali e i mercati in genere hanno vissuto giornate di fibrillazione dall’entrata in vigore delle tariffe reciproche e quella al 104% sui prodotti dalla Cina, annunciate il 2 aprile da Washington. Pechino ha risposto a stretto giro con tariffe innalzate dal 34% all’84%. Un’escalation che ha appesantito i listini e condizionato le Borse anche in Europa. Bruxelles non è rimasta a guardare e ha approvato la lista di contromisure dell’Ue, un pacchetto da circa 21 miliardi. Dentro questo caos, in settimana Trump ha annunciato la sospensione per 90 giorni dei dazi reciproci contro alcuni Paesi. La Cina, ovviamente, è stata esclusa. La, la guerra dei dazi continuerà.