di Giacomo Cioni
Ce lo aveva detto già a febbraio. Lo aveva capito. Gli era bastato vedere un tank israeliano alle porte di Hebron. Si stupì: “Non ci credo, un carrarmato qui a Hebron? Sta per accadere qualcosa, era dalla ‘seconda intifada’ (quindi dal 2000 al 2005 ndr) che non si vedevano mezzi così a Hebron”. Nadav Weiman c’aveva visto giusto. In pieno ‘cessate il fuoco’ aveva previsto che la tensione si sarebbe riaccesa. Di lì a qualche settimana Israele, che già stava spingendo con nuovi attacchi nel nord della Cisgiordania, in particolare a Jenin, ha rotto lo stop ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza.
Le notizie degli ultimi giorni, parlano di centinaia di nuovi morti, di attacchi aerei come quello contro l’ospedale Al-Ahli e di nuove minacce: “Se Hamas si rifiuta di accettare un accordo sugli ostaggi, l’offensiva delle Idf (Forze di difesa israeliane) a Gaza si intensificherà”, questo l’avvertimento del ministro della Difesa dello stato ebraico, Israel Katz. “Centinaia di migliaia di residenti palestinesi sono già stati evacuati e il 10% del territorio di Gaza è diventato parte delle zone di sicurezza israeliane”, ha affermato Katz in una dichiarazione, alludendo alla zona cuscinetto delle Idf al confine con Gaza.

Nadav Wieman, figura centrale del movimento pacifista israeliano, è molto più di un semplice attivista. In qualità di direttore esecutivo di “Breaking the Silence”, organizzazione composta da veterani dell’esercito israeliano, Weiman è diventato un instancabile portavoce della realtà dei Territori Occupati, offrendo una prospettiva interna spesso taciuta o ignorata.
La sua storia, segnata dal servizio militare nei reparti speciali e da una profonda presa di coscienza, lo ha condotto a dedicare la sua vita a “portare alla luce la realtà della vita quotidiana nei Territori Occupati”.
È stato proprio lui ad accompagnarci in una recente visita a Hebron, sud della Cisgiordania, nel febbraio scorso. Ci ha offerto un’esperienza diretta del suo lavoro sul campo. Proprio come documentato in un video di qualche anno fa con l’attore Richard Gere, Nadav ci ha guidato lungo la strada all’ingresso della città, un luogo che per molti israeliani rimane distante e sconosciuto. Decine di negozi, ma meglio dire ex negozi, chiusi, case abbandonate: la vita del popolo palestinese che si è fermata a una ventina di anni fa. Quella strada è un simbolo dell’occupazione israeliana. L’azione simbolica di condurre figure pubbliche e cittadini comuni attraverso le complessità e le tensioni di Hebron è un elemento distintivo dell’approccio di “Breaking the Silence”: rendere visibile e tangibile una realtà spesso filtrata o negata dall’opinione pubblica israeliana.

La trasformazione di Nadav da soldato dell’IDF ad attivista è un percorso personale potente. Come racconta lui stesso, “sono diventato un attivista perché ero un soldato nell’esercito israeliano”. La sua esperienza come cecchino nella Brigata Nachal, operando in Cisgiordania e Gaza tra il 2005 e il 2008, lo ha portato a confrontarsi con la quotidianità dell’occupazione in modo diretto e spesso sconcertante. Un’operazione che descrive vividamente è quella definita “Strawberry Widow” (Vedova di Fragole), durante la quale “occupavamo una casa privata palestinese e la trasformavamo in un posto di blocco militare”. Questa pratica invasiva, che costringeva intere famiglie palestinesi a lasciare le proprie case nel cuore della notte, ha rappresentato per Weiman un punto di svolta: “Ho capito che rovinavamo la vita delle famiglie palestinesi, con bambini piccolissimi traumatizzati dall’arrivo di soldati armati nelle loro stanze. Non perché avessimo informazioni particolari, non perché volessimo sparare a qualcuno, ma perché ci avevano insegnato che questa doveva essere un’operazione di routine”.
Questa consapevolezza lo ha portato a una profonda riflessione sul suo ruolo e sulla natura dell’occupazione: “Quello che stavo facendo nell’esercito israeliano era proteggere Israele? No, stavo opprimendo i palestinesi, ed è una cosa completamente diversa”. La decisione di “rompere il silenzio” non è stata semplice. Come confessa Weiman, figlio e nipote di ufficiali dell’esercito israeliano, all’inizio ha persino esitato a rispondere alla chiamata del suo ex comandante che lo invitava a unirsi all’organizzazione. Tuttavia, il senso di “obbligo morale, come israeliano, di raccontare ” ha prevalso.
Per Nadav, la realtà dell’occupazione non è un segreto che appartiene solo ai soldati, ma qualcosa che “tutti dovrebbero sapere, che succede quasi ogni notte”.
Le testimonianze raccolte da “Breaking the Silence” nel corso degli anni dipingono un quadro allarmante della situazione nei Territori Occupati. Dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, l’organizzazione ha registrato un’impennata di nuove testimonianze, spesso da riservisti richiamati al servizio. Queste nuove narrazioni, insieme a quelle raccolte negli anni precedenti, rivelano tendenze preoccupanti, come l’allentamento delle regole d’ingaggio e un aumento dei danni collaterali a Gaza.
Weiman stesso sottolinea: “Non ci sono freni, non ci sono blocchi. Dopo il 7 ottobre, l’IDF usa regole d’ingaggio e ha aumentato la facilità con cui può fare fuoco”. Cita come esempio una direttiva inquietante: “Ordine di sparare per uccidere ogni uomo in età militare”, una politica che, pur non essendo del tutto nuova, è stata intensificata e combinata con un massiccio uso di artiglieria e raid aerei, portando a un drammatico aumento delle vittime civili.

Un altro aspetto critico evidenziato da Weiman è la diffusione della mentalità secondo cui “non esistono civili non coinvolti a Gaza”. Questa narrazione, alimentata da dichiarazioni di membri del governo, crea un clima in cui violenza e distruzione appaiono giustificate. Weiman denuncia anche la preoccupante ascesa di ufficiali provenienti dal movimento dei coloni all’interno dell’esercito, portando a un’ulteriore radicalizzazione delle operazioni nei Territori. La sua instancabile attività di testimonianza, sia in Israele che all’estero, lo ha portato a essere un volto conosciuto.
Quasi al termine delle nostre tre ore di visita a Hebron, dopo un’ultima chiacchierata a due passi dal tank israeliano, si avvicina un pick up di un colono, sul tettino una enorme bandiera con la Stella di David. L’uomo abbassa il finestrino e dice a Nadav: “Risparmiate le energie, che dopo Gaza ci prenderemo anche il Libano e la Cisgiordania, allora sì che dovrete fare foto”.
Una vera e propria minaccia, anche nel tono con cui si è posto verso Weiman, rimasto allibito. E anche un chiaro messaggio di quello che è il piano, anche a lungo termine, del Governo Netanyahu. A proposito, il primo ministro israeliano ha commentato così l’ultima uscita del presidente francese Emmanuel Macron sulla necessità di riconoscere uno Stato palestinese: “Macron si sbaglia di grosso”. Insomma l’ambiente è questo: grandissima tensione, anche a livello internazionale, bombardamenti a Gaza, demolizioni continue anche in territori rurali del West Bank e coloni sempre più nervosi e arroganti. In questo clima Nadav Weiman e tutti gli attivisti di ‘Breaking the Silence’ confermano la loro dedizione e il coraggio di persone, molte anche donne che, avendo indossato l’uniforme dell’IDF, scelgono di essere una voce efficace verso la fine dell’occupazione.
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