Rotte e sbarchi: il viaggio verso l’Europa

Un viaggio quello per arrivare in Europa difficile da definire. Alcuni aggettivi che potremmo usare sono: lungo, avventuroso, estenuante, spaventoso e non ultimo costoso.

Per arrivare nel Vecchio Continente i migranti affrontano rotte diverse a seconda della provenienza, delle condizioni. Medici per i diritti Umani ha realizzato una mappa delle rotte attraverso le testimonianze di mille migranti arrivati in Italia dal 2014 al 2016 dall’Africa Sub Sahariana.

Una delle rotte più battute è quella dell’Africa Occidentale che passa attraverso il Niger e la Libia per poi arrivare in Italia attraverso il Canale di Sicilia. Da Senegal, Gambia, Guinea e Costa d’Avorio i migranti si spostano prima a Bamako, in Mali, per poi passare da Ouagadougou in Burkina Faso e raggiungere il Niger. Una via alternativa passa da Bamako a Gao, in Mali, per finire a Niamey, in Niger.

Questa rotta comporta l’attraversamento di un tratto di deserto necessario per arrivare in Libia, chiamato “la strada verso l’inferno”. La durata media del viaggio dal paese di origine è di venti mesi. Il tempo medio di permanenza in Libia è di 14 mesi.

Altra rotta è quella che dal Corno d’Africa passa attraverso il Sudan e la Libia a raggiunge l’Italia attraverso il canale di Sicilia. Dopo aver attraversato il confine tra Eritrea e Sudan,  la maggior parte dei migranti raggiunge Kassala o il campo profughi di Shagrab in Sudan oppure il campo di Mai Aini in Etiopia. Da Khartoum, i migranti attraversano il deserto verso la Libia con i pick-up.  Questi tratti sono generalmente gestiti dai trafficanti libici.  La durata media del viaggio dal Paese di origine è di 15 mesi. Il tempo medio di permanenza in Libia è di tre mesi. Il confine tra Eritrea e Sudan è tra i più pericolosi. Qui i militari eritrei sono incaricati di sparare e uccidere tutti coloro che cercano di fuggire dal paese.

La tortura è una pratica usuale durante il viaggio: più del 90 per cento dei migranti intervistati ha raccontato di essere stato vittima di violenza, di tortura e di trattamenti inumani e degradanti nel paese di origine e lungo la rotta migratoria, in particolare in luoghi di detenzione e sequestro in Libia.

Per le rotte via mare la più battuta è quella dalla Libia all’Italia che ha i suoi punti d’imbarco in alcune località a ovest di Tripoli. Da Zuwara e Sabratha a Pozzallo, in Sicilia, ci sono circa 260 miglia marine.

L’altra tratta è quella che va da Bengasi alla Sicilia. La terza, e più rischiosa, è quella che vede il suo punto d’imbarco ad Alessandria, in Egitto. E’ la più utilizzata dai migranti che dal Corno d’Africa e dal Sudan evitano la Libia e risalgono l’Egitto. La distanza dall’Italia è di quasi 800 miglia marine. La traversata, molto rischiosa, dura almeno 8-10 giorni e avviene in genere attraverso più di una imbarcazione.

Non solo Africa Sub Sahariana. Un’altra rotta interessa il Mediterraneo e le coste spagnole dell’Europa occidentale. Ad oggi però il numero di migranti provenienti dal Marocco è notevolmente ridotto.

Ancora attiva la rotta tra i paesi del Balcani occidentali e orientali. Molti migranti che arrivano in Grecia cercano infatti di muoversi tra Serbia e Macedonia verso Ungheria e Croazia per raggiungere l’Europa dell’est. Dopo la costruzione della recinzione con la Serbia realizzata dal governo ungherese  i flussi in Croazia si sono intensificati.

Una rotta con flussi importanti è poi quella che parte dal Bangladesh. Nel Paese esistono sono agenzie specializzate che organizzano il viaggio in aereo a Tripoli, via Istanbul e Dubai. Lì i migranti si mettono in contatto con i trafficanti locali per organizzare il viaggio in barca verso l’Italia.

Morti in mare e un movimento per la memoria

Il 2016 è stato un anno catastrofico per il Mediterraneo, divenuto tomba di 4.733 persone. Il numero più alto dal 2008, anno in cui l’UNHCR iniziò a ‘contare’ i dispersi in mare. E anche nel 2017 il numero è alto: sono 2,346 le persone che hanno perso la vita o sono disperse in mare.

Si conoscono a grandi linee i numeri ma poco si sa di chi erano queste persone edi chi hanno lasciato nel proprio paese. Negli ultimi anni le donne e le famiglie tunisine hanno fondato diverse associazioni: Association pour la recherchedesdisparus et encadrementdesprisonnierstunisiens a l’etranger), La Terre pour Tous (La terra per tutti) Mèresdesdisparus (Madri degli scomparsi). Hanno raccolto informazioni, dati, impronte e realizzato un dossier con i nomi di tutti gli scomparsi.

L’associazione Libera italiana ha realizzato con l’associazione tunisina Ardepte il percorso ‘Memoria Mediterranea’ per portare avanti la ricerca dei giovani tunisini scomparsi.

La questione degli scomparsi è al centro delle attività del Forum tunisino dei diritti economici e sociali (FTDES), di La Terre pour Tous, e ancora Carovane migranti, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Pontes, Collettivo leventicinqueundici e molte altre ancora.

“Questa iniziativa ha permesso anche la raccolta di dati e la diffusione dei nomi delle vittime, affinché un lavoro sulla memoria possa prendere avvio per restituire un volto e una dignità a chi ha perso la vita e a tutti quelli di cui non si hanno più notizie, cercando di raggiungere l’Europa”.

L'esempio Nigeria

Uno dei Paesi maggiormente rappresentati negli sbarchi è la Nigeria. Nel 2017 il 15% degli arrivi in Italia era composto da nigeriani, il 12% da persone provenienti dal Bangladesh, il 10% dalla Guinea e il 9,5% dalla Costa d’Avorio.

I nigeriani sono spesso considerati ‘migranti di serie B’. In Italia i richiedenti asilo provenienti dalla Nigeria che ottengono protezione internazionale sono infatti una percentuale bassissima. Meno del 5% ottiene lo status di rifugiato in Europa e nel complesso circa il 25% ottiene protezione nelle varie forme previste dagli ordinamenti nazionali.

Questo nonostante siano molti i motivi per fuggire dalla Nigeria, Stato in conflitto nella definizione data dall’Atlante delle guerre e dei Conflitti.

Ci sono le violenze del gruppo terroristico di Boko Haram- affiliato all’Isis- l’estrema povertà, la situazione delle aree del Delta del Niger in ginocchio a causa dello sfruttamento del territorio da  parte delle multinazionali petrolifere o la condizione dello Stato di Borno dove è in corso una vera catastrofe sanitaria. Oltre 500mila persone hanno urgente bisogno di cibo, acqua, cure mediche e ripari.

A questo si aggiunge la tratta delle donne. Migliaia di vittime di tratta collegata alla prostituzione sono arrivate in Italia negli ultimi anni provenienti da zone ben precise della Nigeria (l’area di Benin City Edo State, ma anche Delta State, Lagos State, Ogun State, Anambra State). Oltre un quinto delle richieste d’asilo presentate in Italia è rappresentato da donne, per la maggior parte adolescenti o da poco maggiorenni (in generale ragazze tra i 15 e i 24 anni).