Negli ultimi 12 mesi in Afghanistan 3.300 civili hanno perso la vita. Una strage infinita che anche domenica ha visto l’ennesimo episodio a danno della popolazione della campagne afgane durante un matrimonio, il giorno della festa per eccellenza nella vita di ogni afgano.
Oltre una decina secondo la stampa locale, una quarantina secondo altre fonti. E’ questo il bilancio dell’ennesima strage che inonda di sangue le campagne afgane. Ma non sono talebani. Come già una settimana fa, è un raid aereo che domenica sera, nel tentativo di colpire un nascondiglio della guerriglia, irrompe su un matrimonio nel distretto di Musa Qala nell’Helmand. A un pugno di giorni dalle elezioni si intensifica la guerra senza esclusione di colpi e gli inevitabili effetti collaterali: Abdul Majed Akhand, vice consigliere provinciale, sostiene che la maggior parte dei morti sono donne e bambini che partecipavano alla cerimonia. “Circa 40 persone sono state uccise e altre 18 ferite e portate in ospedale”, ha detto all’agenzia di stampa Afp. “Tutte le vittime erano civili”.
Così, i bollettini di guerra col numero dei miliziani uccisi lo stesso giorno (14 tra cui sei “stranieri” secondo il governatorato locale ma assai di più secondo il ministero della Difesa) e i tre civili ammazzati ieri a Farah da un bomba piazzata lungo la strada impallidiscono di fronte alla brutalità di raid assai poco chirurgici che continuano a sbagliare obiettivo. La responsabilità diretta ricade sull’aviazione afgana ma sono i consiglieri americani a indirizzare gli attacchi aerei con droni, elicotteri o caccia. Se va bene viene aperta un’inchiesta e se va bene arriva una conferma delle vittime come nel caso del raid del 19 settembre che ha ucciso almeno 30 contadini nella provincia di Nangarhar. Almeno altri 40 sono stati feriti.
(Red/E.G.)