di Emanuele Giordana
Il presidente Trump ha sparigliato ieri nuovamente le carte sostenendo che dai 14mila soldati americani in Afghanistan ne dovranno rimanere almeno 8.600: una riduzione dunque e non un totale ritiro come vogliono i Talebani che a Doha negoziano con gli americani. I 4 punti principali, sui quali c’è un’intesa sin dallo scorso gennaio, spono infatti: ritiro delle truppe straniere, garanzia da parte della guerriglia di smarcarsi del tutto dal jihadismo globale, dialogo intra-afghano, cessate il fuoco. Ma le parole di Trump fanno prevedere una strada ancora in salita.
Del resto, nonostante i buoni propositi e un clima apparentemente disteso c’è da sempre qualcosa di segreto e oscuro nel negoziato in corso a Doha. A parte il governo afgano, un fantasma cui per ora non è concesso alcun ruolo, ci sono molti “non detto” sull’accordo in corso oltre a quanto sappiamo più o meno ufficialmente. Tra i tanti fantasmi c’è infatti il convitato di pietra che va sotto il nome di “basi militari”, dossier strettamente collegato al numero di soldati (oggi 14mila) che gli americani vorrebbero conservare sul suolo afgano.
Stando a rare indiscrezioni, Talebani e Americani avrebbero già concordato anche il futuro di Bagram – la grande base militare a Nord di Kabul, principale hub militare Usa nel Paese – e l’utilizzo delle basi aeree dell’esercito afgano sparse per l’Afghanistan da cui l’Us Air Force potrebbe controllare il fianco orientale iraniano e il fianco meridionale dell’Asia centrale ex sovietica, leggi il confine Sud della cintura protettiva russa. Per sorvegliare le basi e garantire il loro utilizzo serve però una forza di alcune migliaia di soldati. Dove stazionerebbero? L’ipotesi è che ci sia un vincolo su Bagram o un trasferimento dei soldati americani nella vasta area dove si trova l’ambasciata Usa e l’attuale comando Nato, vincolata a un accordo ultradecennale di affitto col governo di Kabul e vicina all’aeroporto militare afgano di Kaya dove già stazionano i caccia americani.
In copertina una strada afgana (Unsplash)