di Emanuele Giordana
L’ennesimo attentato a Kabul (senza rivendicazione) illumina le difficoltà del processo negoziale mentre fallisce il primo dialogo diretto interafgano. Accade ieri in pieno centro con una battaglia durata cinque ore che si conclude con una decina di vittime
Accade inoltre in un momento delicato anche se, in Afghanistan, è raro che la congiuntura sia serena. Il fatto però è che l’attentato risuona in una giornata che avrebbe dovuto vedere il primo incontro interafgano, organizzato dal Center for Conflict and Humanitarian Studies di Doha – un’emanazione del Doha Institute for Graduate Studies, – che si sarebbe dovuto svolgere tra ieri e oggi. Qatarini, talebani e governo afgano però non si sono trovati d’accordo sulla lista degli invitati. Kabul ne aveva pretesi 250, rifiutati sia dal Qatar sia dai talebani che, in un comunicato, hanno spiegato così le ragioni della cancellazione dell’incontro. Secondo il governo di Kabul è però solo un rinvio così come per i qatarini, disposti a lavorare a un’eventuale nuova lista. Ma una bomba sul fallimento del primo passo del dialogo interafgano sembra la ciliegina su una torta non lievitata. L’impasse negoziale infatti mette sempre più nell’angolo Kabul e il suo governo, alla vigilia di elezioni presidenziali sulle quali pesa il fatto che i colloqui di pace sono per ora nelle mani di due soli interlocutori: guerriglia e occupanti. Il governo resta tagliato fuori e forse, nel tentativo di non perdere la faccia, finisce a inciampare sotto la pressione della fretta di portare a casa almeno qualche piccolo risultato. Chi alla fine sembra invece aver fatto un punto sul tavolo del Grande gioco afgano è Mosca: la conferenza di Doha era infatti figlia del primo incontro tra afgani e guerriglia in Russia mesi fa. All’epoca il governo era assente e questa sembrava la volta buona. Il fallimento non danneggia però l’immagine di Mosca, molto attenta a ritagliarsi un ruolo, ancorché di sponda, nella pace che – inshallah – prima o poi verrà.
Quanto al negoziato tra americani e talebani, le bocce per ora sono ferme ma il dialogo va avanti. Con (almeno ufficialmente) un convitato di pietra: il destino delle basi militari. Gli americani, oltre alla grande base di Bagram (ereditata dai sovietici!), hanno in concessione l’uso di un’altra decina di basi aeree sparse per il Paese. Un accordo col governo Karzai ne consente l’utilizzo e dunque l’intera rete nazionale costituisce uno dei fulcri chiave della presenza stellestrisce nel Paese: il controllo sia dell’Iran sia della frontiera meridionale della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi), che raccoglie due terzi delle ex repubbliche sovietiche tra cui quelle dell’Asia centrale. E’ il fianco Sud della Russia. Nei negoziati si è parlato del ritiro delle truppe, di terrorismo e persino di diritti delle donne. Mai delle basi. Gli americani le lasceranno rinunciando così a uno dei motivi per cui si sono impelagati in una guerra che tra poco compierà vent’anni?. Secondo alcune voci, della cosa invece si sarebbe parlato con le basi come oggetto di trattativa. Gli Usa per altro hanno chiesto di evacuare i soldati in anni mentre i talebani ragionano in termini di mesi. Intanto si prende tempo. Bomba o non bomba.