E’ stata appena inaugurata in Israele una nuova autostrada: si tratta della Route 4370, già definita “la strada dell’apartheid” perché il guardrail che la divide è un muro alto otto metri che separa autisti israeliani da guidatori palestinesi. Per i palestinesi è un chiaro segno della volontà di trasformare definitivamente i territori palestinesi in “Bantustan”, termine nato coi territori segregati nel Sudafrica dell’Apartheid ma ormai invalso per definire quelli palestinesi. Il costo dell’opera è stato di 150 milioni di shekel, circa 40 milioni di euro
La tangenziale 4370 – lunga circa 5 chilometri – passa nelle vicinanze della città-colonia di Maale Adumim, situata fra Gerusalemme e Gerico. Facilita dunque l’ingresso a Gerusalemme per gli israeliani che abitano negli insediamenti situati a Sud di Ramallah e viceversa. I palestinesi che volessero utilizzarla invece saranno bloccati all’ingresso dalla polizia israeliana e indirizzati sul versante occidentale della stessa arteria che arriva in un villaggio palestinese vicino a Gerusalemme Est “evitando inutili ingorghi”, dicono le autorità di Israele.
Per tutto il loro percorso affiancato, le due strade separate dal
La posizione israeliana è ben diversa: “”Questa è solo una fra le tante misure che prenderemo per rafforzare i servizi ai residenti della Giudea e della Samaria e al rafforzamento della sovranità nella regione”, ha detto il ministro della Pubblica sicurezza Gilad Erdan alla cerimonia di apertura, usando i termini biblici per definire la Cisgiordania. “La strada che è stata aperta oggi è un esempio di come possiamo creare una vita comune tra israeliani e palestinesi, superando allo stesso tempo tutte le attuali sfide alla sicurezza”.
Il rappresentante dell’OLP ha paragonato la politica di Israele nei confronti della popolazione palestinese a quello del Sudafrica dell’Apartheid: ha detto che Israele vuole creare dei “Bantustan”, le riserve destinate ai non bianchi in Sudafrica, da cui i “nativi” potevano uscire solo con apposito permesso. A questa accusa, il ministero dell’Interno di Israele risponde seccamente che “parlare di apartheid è assurdo, perché non c’è alcuna discriminazione basata su etnia, razza o religione, si chiede solo un permesso”. Che, appunto, non è richiesto agli israeliani.
Shuafat, a poca distanza dalla nuova strada, mostra ad esempio una tipica comunità assediata: da 70 anni. E’ un campo profughi palestinese, ma si trova in territorio israeliano. Il campo è sorto nel 1948 per accogliere i palestinesi sfollati a causa della guerra arabo-israeliana. Da allora si è trasformato in un agglomerato di fatiscenti edifici a più piani, senza fognature, dove la spazzatura viene bruciata nei bidoni di petrolio, e non entrano né ambulanze ne pompieri. In assenza di un vero governo, un’agenzia delle Nazioni unite, l’Unrwa, ha di fatto gestito quello che c’è, per settant’anni: scuole, cliniche, servizi sanitari. (Red/MaSa)