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Stiamo partecipando a un gruppo di lavoro per far luce su un tassello di quanto avviene in Myanmar che ci rigurda come europei e come italiani. Con Italia-Birmania, Rete Pace Disarmo, Amnesty Italia, Opal, dopo che ricercatori e giornalisti birmani hanno scovato a Yangon una cartuccia con la sigla di una ditta di Livorno, abbiamo creato un gruppo di lavoro cui abbiamo aderito per passione e dovere civile e professionale. Il nostro contributo come giornalisti (della squadra di Atlante fanno parte Emanuele Giordana e Alice Pistolesi della redazione accanto al nostro collaboratore Alessandro De Pascale) e’ quello di fornire elementi di inchiesta che possano far luce su diversi episodi che coinvolgono armi italiane ma anche altri strumenti – ora nelle mani della giunta – che possono aiutare i generali nella repressione delle legittime proteste birmane. Ciò non significa attaccare la singola azienda o lo Stato italiano – entrambi potenziali vittime di sporche triangolazioni o di un uso improprio di strumenti legali – ma aiutare a far luce su un sistema imperfetto che consente l’esportazione di materiale apparentemente non bellico. Il nostro e’ un ruolo di portatori d’acqua al lavoro di associazioni e gruppi ben più strutturati di noi e specializzati nei diversi campi (e che tra l’altro sono a diverso titolo nostri partner da tempo). Ma riteniamo che il nostro lavoro di inchiesta possa contribuire ad aggiungere un mattone alla ricerca della verità’.
Nella foto di copertina, un’immagine raccolta da Irrawaddy, il magazine birmano online che per primo ha scovato le cartucce made in Italy
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