Continua la vicenda delle pallottole italiane ritrovate in Myanmar di cui abbiamo dato conto nei giorni scorsi.
“La risposta di Di Stefano – commenta Giorgio Beretta di Opal – è molto articolata e conferma l’effettiva possibilità che munizioni o parti di esse prodotte in Italia siano tuttora esportate dall’azienda turca in Myanmar, come è avvenuto nel 2014. Succede perché, la legge 110/1975 (che regolamenta le esportazioni di armi e munizioni comuni, sportive e da caccia) a differenza della legge 185/1990 (che regolamenta l’export di armi e munizioni di tipo militare) non richiede che l’azienda notifichi alle autorità italiane il destinatario e utilizzatore finale delle armi e munizioni esportate. Un problema che va al più presto risolto”.
Anche a Cecilia Brighi di Italia Birmania Insieme la risposta a Palazzotto sembra “puntuale” anche se, aggiunge, “il sottosegretario non si pronuncia sul fatto se il governo intenda o meno sostenere le modifiche alla legge 185/90 presentate in parlamento in modo da ricondurre tutte le esportazioni di armi e munizioni al regime previsto dalla 185/90.” Un punto condiviso anche da Raffaele Crocco, direttore dell’Atlante delle guerre: “E’ chiaro che il buco legislativo va colmato in modo da impedire che cartucce per cacciare cinghiali diventino proiettili per uccidere persone”.
(Red/Est)
In copertina, la prima immagine di un bossolo italiano pubblicata dal magazine birmano Irrawaddy