Bosnia-Erzegovina. Quando lo scontro nasce sui libri

I testi scolastici non raccontano la Storia in modo obiettivo denuncia l'Osce

di Raffaele Crocco

Ad essere preoccupata è l’Osce, questa volta: in Bosnia Erzegovina – sostengono i suoi funzionari – i libri di testo scolastici “non raccontano la Storia in modo obiettivo”. Morale: è impossibile avviare processi veri di ricostruzione e pace. La cosa è stata messa nero su bianco qualche settimana fa, al termine di una missione ufficiale. Preoccupazione di peso, questa, per un Paese che teoricamente sta affrontando gli esami per l’ingresso nell’Unione Europea. D’altro canto, il problema non è nuovo. Le scuole sono divise su base di appartenenza e i ragazzi bosgnacchi, ad esempio, hanno pochi o nulli contatti con i coetanei serbi o croati. I programmi scolastici vanno di conseguenza. Significa che ognuno dei tre popoli costituenti bosgnacco, serbo e croato – quelli riconosciuti dall’accordo di Dayton del dicembre 1995 come base giuridica del nuovo Stato – scrive storia, geografia come vuole. Persino la lingua viene variata, pur parlando in realtà tutti la medesima.

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La cosa è da sempre denunciata dal generale Jovan Divjiak, l’eroe di Sarajevo assediata, fondatore dell’associazione “L’istruzione costruisce la Bosnia”. La scuola, dice, sta creando in Bosnia le basi per accentuare le divisioni e creare nuove, future ragioni di guerra. I libri di testo usati nella serba Repubblica Srpska sembrano dimostrarlo. Scritti da Dragisa Vasic, non fanno ad esempio alcun riferimento al genocidio di Sebrenica, del luglio del 1995, quando gli uomini dell’esercito serbo bosniaco guidato da Ratko Mladic massacrarono 8mila bosgnacchi. Dice vagamente che l’esercito conquistò i quei giorni Sebrenica. Non parlano mai di “genocidio”, ammettono al massimo che ci sono stati crimini di guerra.

Per quanto riguarda Sarajevo, dice solo che parte della città era controllata dai bosgnacchi e che per i serbi è stato doloroso restituire la zona che controllavano. Altri libri non accennano alla condanna a vita per genocidio decisa dal Tribunale Internazionale dell’Aja per Radovan Karadzic, presidente dell’allora autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina. Raccontano semplicemente che era uno psicologo, poeta e politico. Per contro nei libri della federazione bosniaca, si scrive che “l’esercito serbo bosniaco ha ripulito sistematicamente dalla popolazione non serba tutte le aree che controllava, distruggendo aspetti culturali, religiosi e storici”.

In pratica, ogni popolo si concentra solo sulle proprie vittime, negando o oscurando il resto. Un racconto della storia divisivo, che potrebbe peggiorare: il neo ministro all’istruzione della Serbia, Sarcevic, ha annunciato che sta lavorando per armonizzare i programmi scolastici fra Serbia e Repubblica Srpska di Bosnia. L’obiettivo è che ovunque si trovino i serbi, “apprendano le medesime cose, le stesse verità” di parte. Un modo come un altro per gettare benzina sul fuoco.

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