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Cicatrici e tatuaggi. Il volto della violenza organizzata a Kinshasa

di Sara Cecchetti da Kinshasa

Sigarette, tatuaggi e coesione: sono questi i tre elementi con i quali – ci dicono- si possono riconoscere i Kuluna per le strade di Kinshasa. Sono bande armate formate soprattutto da giovani, molti anche sotto i 15 anni, muniti di machete o altre armi bianche con le quali estorcono denaro alla popolazione. Non ricercano grandi somme, anche pochi dollari, ma determinanti per non rimanere vittime della loro violenza. Poco alone di mistero sull’identità di chi fa parte di questi gruppi: il problema non è individuare chi sono, ma sperare in un intervento della giustizia.

Tuttavia la corruzione della polizia è così elevata da non tentare neppure di nasconderla. Riusciamo ad avere un incontro con due Kuluna e a metterci in contatto non è un civile congolese- al quale per timore era stata negata la possibilità di parlarci- ma proprio un poliziotto. Questi ha paura a raccontare della guerra in Kivu, ma non di confessare che ha amici tra i Kuluna. Siamo al paradosso: la presenza di un poliziotto diventa la loro assicurazione.

Ci aspettano in un quartiere dell’estrema periferia di Kinshasa; rispecchiano la descrizione fattaci da molti: uno di loro, oltre ad avere una gamba tatuata, tiene in mano una sigaretta. Nulla di apparentemente sconveniente, se non fosse che a Kinshasa, soprattutto nei quartieri più poveri, non si veda quasi nessuno fumare – perché le sigarette costano e non si hanno i soldi per mangiare, figuriamoci per fumare – e che i tatuaggi vengano ancora considerati segni inequivocabili di delinquenza. Anche alla vista dei nostri tatuaggi c’è chi, con un tono tra l’ironico e l’inquieto, ci appella come “Kuluna”. Se noi decidiamo di utilizzare vestiti coprenti per passare inosservati, l’uomo che si lascia intervistare, oltre ai tatuaggi, esibisce ferite di machete. Mostra due cicatrici sul braccio e sulla testa ha una ferita ancora aperta: “Mi sono scontrato con un gruppo rivale; la violenza ricade anche su di noi” dice in linkala.

Benché si parli spesso di Kuluna come un unico grande fenomeno, al suo interno ci sono suddivisioni e gerarchie da rispettare, prezzo i segni che l’uomo porta sul corpo. L’utilizzo della violenza viene giustificato con un misto di necessità economica e spiritualismo: in un contesto in cui la religiosità ha un peso ancora forte, macchiarsi di crimini efferati è visto come segno del diavolo. O almeno questa è la spiegazione che ci danno in risposta al perché delle loro azioni. Che il vero movente sia di carattere economico è chiaro anche vedendo le “zone” in cui agiscono, ovvero quelle che in termini di sicurezza – ci spiega il poliziotto – sono denominate “zone rosse”. Tra queste c’è Masina, provincia con più di 70.000 persone, dove visti i numeri e la diffusione del fenomeno è necessaria, almeno di facciata, un’azione delle forze dell’ordine congolesi.

Ma in cosa consiste questa “caccia al Kuluna” di cui si sente molto parlare per le strade della capitale? Il più delle volte si tratta di retate casuali, in cui arresti sporadici vengono fatti passare come azioni mirate. Le vittime collaterali rimangono i civili, non di rado colpiti da proiettili vaganti. Non è un caso che, alla sera, ad accompagnare il buio di Kinshasa, i suoni più comuni siano i colpi di Kalashnikov. Il loro frastuono è emblema di una ricerca della sicurezza solo tramite l’intimidazione. Infatti il più delle volte non c’è nessun bersaglio, si mira spesso in area dimenticandosi- o semplicemente non curandosi- di non stare sparando a salve. Così non è raro che i bossoli, nel ricadere a terra, lascino feriti tra i civili. Questo dà vita a un clima di forte tensione, in cui la sopravvivenza diventa un’arte e il rischio si trova sempre dietro l’angolo.

Kinshasa, però, rimane più sicura dell’Est del Paese, dove l’M23 non sembra intenzionata a cedere le posizioni ottenute. Caduta anche Bukavu, città più importante del sud Kivu, l’esercito congolese risulta incapace di farsi valere sul campo. Il presidente Felix Tshisekedi sta tentando di creare un governo di unità nazionale, ma la crisi umanitaria- tra numeri esorbitanti di sfollati e mancanza di aiuti- si fa sempre più grave.

Nell’immagine tratta da un fotogramma di Kagozi Pro Tv, un gruppo di Kuluna in stato di arresto. Molti tra loro vengono condannati a pene severissime

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