Come la crisi a Caracas cambia gli equilibri nelle Americhe

Maduro perde anche gli amici Lula e Petro. L'america del sud fra Usa, Cina, e Russia. In attesa delle elezioni americane

di Maurizio Sacchi

Il candidato presidenziale dell’opposizione venezuelana Edmundo Gonzalez è arrivato in Spagna dopo aver lasciato il suo Paese nel mezzo della crisi politica e diplomatica per le elezioni di luglio, con ogni probabilità vinte largamente da parte di Gonzalez,ma non riconosciute dal presidente uscente Maduro. Funzionari spagnoli, tra cui l’ex primo ministro socialista  Jose Luis Rodriguez Zapatero, sono stati coinvolti in una settimana di negoziati con le autorità venezuelane per far sì che Gonzalez lasciasse il Paese. Centinaia di arresti da parte delle forze di Maduro e una repressione violenta contro i suoi oppositori stanno scatenando un’ondata di condanne da parte internazionale. Con la possibilità che si ridisegnino in modo significativo gli equilibri politici e strategici delle Americhe.

Nemmeno il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, uno dei più storici alleati di Maduro, lo ha riconosciuto vincitore e ha dichiarato che le relazioni tra le due nazioni si sono “deteriorate a causa della situazione politica in Venezuela”. A questo si è aggiunto il caso dell’ambasciata argentina – dove sei dei più stretti collaboratori di Machado rifugiati da mesi – presa sotto il controllo del Brasile dopo che il suo personale è stato espulso dal Venezuela. Ora Maduro ha revocato al Brasile l’autorizzazione a gestire l’ambasciata di Buenos Aires, sostenendo che questa ospitasse terroristi che preparino attentati a Maduro e alla Vicepresidente Delcy Rodríguez.  Il 6 settembre decine di agenti di Maduro si sono appostati fuori dall’ambasciata a Caracas, minacciando di entrare, per poi allontanarsi due giorni dopo.

Il presidente colombiano Gustavo Petro, un altro alleato di di Maduro, ha cercato di mediare una soluzione insieme al Brasile. In una dichiarazione del 9 settembre, il ministero degli Esteri di Petro ha affermato di essere favorevole al dialogo in Venezuela e di voler sostenere un processo politico “circondato da piene garanzie”. In precedenza, Brasile e Colombia avevano tentato di trovare una via d’uscita pacifica, proponendo di rifare le elezioni. Oltre a suscitare la sdegnata risposta di Gonzalez, che afferma, con prove di aver vinto coi 2 terzi dei voti, anche Maduro ha fatto cadere nel vuoto la proposta. Ed ora il parlamento della Colombia ha approvato all’unanimità una mozione in cui sollecita il Tribunale penale internazionale dell’Aia (Tpi) a emettere un mandato di arresto contro il presidente venezuelano Nicolás Maduro. “Continueremo a insistere perché Maduro vada in prigione e il Venezuela riconquisti la libertà”, ha dichiarato la senatrice  Paloma Valencia, promotrice  dell’iniziativa. Il dato dell’unanimità é significativo, perché fin ad ora lo scontro fra il progressista Petro, e la destra colombiana é stato senza esclusione di colpi, e questa decisione congiunta é una novità assoluta. Vale la pena ricordare che la Colombia ospita attualmente 2,9 milioni dei circa 7,7 milioni di venezuelani che hanno lasciato il loro Paese negli dieci ultimi anni, secondo gli ultimi dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).  La Corte dell’Aia già indaga sul Venezuela per appurare la commissione di crimini contro l’umanità e ampie violazioni di diritti umani commessi dalle forze di sicurezza del governo Maduro a partire dal 2017. Il Tpi ha piena giurisdizione e potere di spiccare mandati di arresti per le autorità del Paese, firmatario del Trattato di Roma.

Una ripresa significativa per il Venezuela – uscito da pochi anni dall’iperinflazione – dipende dalle potenze mondiali come gli Stati Uniti, che solo di recente hanno iniziato ad alleggerire in modo condizionato le pesanti sanzioni finanziarie. Mentre la Cina e la Russia hanno riconosciuto la sua vittoria, la maggior parte delle nazioni ha messo in dubbio la legittimità della presidenza di Maduro,  leader che vanno dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden al cileno Gabriel Boric  hanno respinto apertamente la rivendicazione della vittoria di Maduro.

Come uscire da questa crisi? Mentre la storica leader dell’opposizione Machado ha espresso la volontà di impegnarsi in colloqui con il governo, Maduro si riferisce spesso a lei come a una “fascista” che sta portando un imminente “bagno di sangue” e una “guerra civile” alla nazione. È difficile immaginare una transizione in cui Maduro le consenta di svolgere un ruolo di primo piano. 

Gli Stati Uniti pare si stiano orientando verso sanzioni individuali contro i funzionari affiliati a Maduro che, a loro dire, hanno contribuito a ostacolare le elezioni di luglio,Durante una visita nella Repubblica Dominicana la scorsa settimana, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che l’amministrazione Biden continuerà a imporre sanzioni al regime di Maduro. “Attueremo le nostre sanzioni e, se troveremo delle violazioni, agiremo. È quello che abbiamo fatto e che continueremo a fare”, ha dichiarato.  Ora molto dipende dalle elezioni negli Usa. Se vi sarà una vittoria della democratica Harris, é possibile un riavvicinamento fra i “gringos” e i Paesi -Brasile, Colombia, Cile, Bolivia- che hanno imboccato una via progressista ma democratica. Se invece a vincere fosse Donald Trump, avversario dichiarato degli stessi Paesi, e sostenitore ad esempio dell’argentino ultraliberista Javier Milei, la tradizionale avversione popolare dei popoli sudamericani nei confronti degli Stati Uniti. E un rialzare la testa dei vari Bolsonaro, nel tentativo di invertire il vento di sinistra che sta soffiando a sud di Panama. 

E Cina e Russia? Nel primo caso, la politica di Pechino é stata orientata a un freddo realismo, stringendo accordi economici con qualunque governo disponibile, col fine di ottenere materie prime, esportare manufatti, e installare infrastrutture funzionali alla Nuova via della seta. Mosca, invece, pur interessata alle risorse minerarie e agricole, punta a alleanze di tipo militare, in chiave antiamericana, e per avere teste di ponte strategiche dove le è possibile. Se gli Usa torneranno, ciò è possibile solo a guida democratica, a svolgere un ruolo attivo nell’America del sud, questo tentativo russo  troverebbe seri ostacoli. Mentre è difficile immaginare quale sarebbe il modo di confrontarsi con le due altre superpotenze da parte del magnate americano, sempre oscillante fra dichiarazioni  aggressive di superiorità yankee e minacce di sanzioni, e visibile simpatia verso il modello autoritario che vige negli altri due colossi.

Nell’immagine, il Palazzo del governo di Caracas

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