di Emanuele Giordana
I motivi della crisi che hanno portato al default lo Sri Lanka sono abbastanza noti: il Covid e il conseguente crollo del turismo unito a una politica sfrenata di debiti esteri (governativi e privati) e una detassazione di alcuni beni per riguadagnare consenso con nodi che vengono al pettine quando la crisi ucraina fa impennare prezzi già molto elevati nell’isola che deve comprare fuori quasi tutto: petrolio e derivati, prodotti chimici e farmaceutici, latte e altri beni di prima necessità oltre alla materia prima per l’industria tessile, la prima del Paese. La crisi nello Sri Lanka ha dunque origini lontane e certamente si deve alla spregiudicata attività della famiglia Rajapaksa di cui Ranil Wikremesinghe – il nuovo Capo dello Stato – è stato a lungo uno dei maggiori oppositori benché qualcuno argomenti che sia un uomo della famiglia Rajapaksa.
La scelta “ecologica”
Può essere che lo sia diventato in quello scambio di figurine tipico di un’élite inossidabile ma bisogna ricordare che fu premier durante i due gabinetti Sirisena, l’uomo che aveva sconfitto Mahinda Rajapaksa nelle elezioni del 2015 (salvo poi ripescarlo: vengono infatti dallo stesso partito Slpp). Errori la famiglia di Gotabaya e
Questa sorta di conversione obbligata avrebbe anche potuto funzionare, come hanno spiegato autorevoli ambientalisti (e come sa chi coltiva un orto biologico), se lo Sri Lanka si fosse preparato per tempo. Un buon sistema di compostaggio, con scarti biologici che normalmente vengono bruciati o interrati, può produrre un ottimo concime che ha però tre svantaggi. Il primo è che mettere in piedi dall’oggi al domani un sistema cosi complesso su scala nazionale richiede almeno uno o due anni di tempo. Il secondo è che il compost ha un rilascio tardivo. Il terzo infine, che richiede una “sapienza”, ossia un sistema per esempio di rotazione delle colture. Il contrario della monocoltura che esige sempre maggior dosi di fertilizzanti e pesticidi e che lascia il terreno praticamente sterile.
Trappola cinese o internazinale?
Su un altro elemento c’è una discreta confusione: la “trappola del debito”cinese. Secondo Pechino l’indebitamento dell’isola verso la Cina equivale solo al 10% del totale. Potrebbe arrivare al 12-13% in realtà se si considera che il debito totale è di circa 50 miliardi di dollari e l’esposizione coi cinesi è di 7. Ma il restante 85%? Intanto ci sono una serie di investitori importanti come India e Giappone, Stati Uniti o Gran Bretagna. Ma poi ci sono
In copertina un momento delle proteste. Nel testo il programma eco del Governo e sotto uno striscione anti Gotabaya