Nel cassetto da quarant’anni, bocciato dalla Commissione Provinciale per gli Investimenti negli Anni Ottanta e poi ripescato nel 2010, grazie ad una modifica di legge che ha tolto l’obbligo del parere vincolante della Commissione, il progetto di una terza diga sul Peace River è tornato ad accendere le proteste nel nordest della British Columbia. Contro la Site C, che allagherebbe 83 chilometri di vallata e terreni coltivati, oltre a sepolcri e luoghi sacri nativi, si mobilitano i First Nations e i discendenti dei coloni. “Indiani e cowboys insieme”, come dice Chief Roland Willson dei West Moberly First Nation.

Il sito: www.rosasenter.weebly.com

L’annuale Paddle for the Peace, la vogata di protesta che si tiene il secondo sabato di luglio richiamando gente da tutta la provincia, nel 2017 potrebbe trasformarsi in una vera festa se il nuovo governo di coalizione tra Verdi e Democratici riuscirà come promesso a cassare definitivamente il progetto. O almeno a rinviarlo ad un riesame della Commissione Investimenti. Nonostante i cantieri siano iniziati a fine 2015 e si sia ormai speso uno dei 9 miliardi di dollari previsti, bloccare la costruzione della diga significherebbe salvare l’ultimo tratto di valle rimasta. Una valle per cui la giovane Kristin Henry nella primavera 2016 era finita in ospedale dopo tre settimane di sciopero della fame.
Le aspettative deluse
Dal governo federale di Justin Trudeau in molti si aspettavano uno stop al progetto, ma nel luglio 2016 l’ennesimo permesso di deviazione delle acque concesso da Ottawa ha deluso ogni speranza riposta nel nuovo primo ministro. E le tribù dei nativi hanno proseguito l’iter processuale che li vede impegnati in diverse cause, sostenuti economicamente da associazioni ambientaliste come RAVEN, Respecting Aboriginal Values and Environmental Needs e Sierra Club BC, per cui lavora Ana Simeon, originaria della Croazia.
Non solo indiani
A un migliaio di chilometri a nord di Vancouver, non lontana dai giacimenti di gas che danno posti di lavoro pagati attorno ai 15mila dollari al mese, la valle del Peace River è contesa dagli interessi miliardari delle multinazionali cui i liberali, al governo della Provincia negli ultimi 16 anni, hanno promesso energia a basso costo per l’estrazione del gas tramite fracking. E tra i pochi, pochissimi, contadini rimasti a difendere quei 5000 ettari di terreni destinati ad essere sommersi dal bacino idroelettrico, i più attivi sono Arlene e Ken Boon, che nel dicembre 2016 sono già stati espropriati per i lavori di spostamento della strada.
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