Gerusalemme Est, quella casetta simbolo di prevaricazione

Un avamposto, contornato da tre grandi bandiere di Israele, che è una rappresentazione plastica di cosa può significare oggi ‘occupazione’ nei territori palestinesi

di Giacomo Cioni da Gerusalemme

Non c’è bisogno di addentrarsi fin dentro i territori occupati per percepire la longa manus del governo israeliano sulla vita della popolazione palestinese. Basta affacciarsi dalla splendida terrazza dell’ospizio austriaco di Gerusalemme, all’inizio della via Dolorosa. Pochi passi nella Old City e una delle attrazioni turistiche è il panorama che si può godere dall’ultimo piano dell’Ospizio Austriaco della Sacra Famiglia, fondato nel 1857 come residenza per il console d’Austria, e oggi hotel.

Quattro rampe di scale e ci si ritrova catapultati sui tetti di Gerusalemme. Anche le cupole emergono limpidamente: una chiesa, poi qualche decina di metri più in là un minareto, e ancora guardando verso sud una sinagoga. Se ne contano a decine. Con loro si notano anche le tante bandiere con la Croce di David, azzurra su sfondo bianco, che sono piazzate in cima alle abitazioni di cittadini israeliani. Ce n’è una proprio alle spalle dell’edificio, ma anche un’altra in pieno quartiere musulmano.

Un’altra veduta del prefabbricato piazzato sopra i tetti di case palestinesi. Foto di Giacomo Cioni

Una piccolissima casetta che si staglia sopra un tetto. La si vede meglio usando un piccolo binocolo o zoomando col cellulare. Qualche minuto a piedi e si riesce persino a scovare (al terzo tentativo) fra i vicoli e le infinite scalette e passaggi a piedi. Dopo qualche istante di salita, a pochi metri in linea d’aria dal piccolo muro del pianto, eccola. Sta lì come simbolo della prevaricazione che le forze israeliane vogliono far percepire verso i palestinesi, anche dentro Gerusalemme. Non solo in Cisgiordania.

C’è una storia, che scopriamo chiedendo in giro, dietro a quel prefabbricato da sei o sette metri quadrati, difeso da recinzioni rigide in metallo di color celeste, piazzato sul tetto di una casa, ‘nascosto’ alla vista interna da vetri specchiati. La nostra fonte è un interlocutore che conosce bene le cose che accadono e che sono accadute a Gerusalemme negli ultimi anni. Ma anche per questo, per continuare a testimoniare liberamente vuol restare segreto, non vuol emergere, intimorito da una possibile rappresaglia.

La piccola casetta si trova proprio sul tetto del vecchio complesso della famiglia Zorba. Va detto che il ‘complex’, come chiamano qua il condominio, originariamente era una proprietà ebrea. Nonostante questo, dopo la guerra del 1948, è stato lasciato a una famiglia palestinese. Nel 1984, i rappresentanti di una compagnia di assistenza assicurativa, si presentarono alla matriarca vedova della famiglia spiegando che sarebbe stata in grado di riscuotere i suoi benefici assicurativi e di previdenza sociale se avesse firmato alcuni documenti. In realtà quelle firme hanno trasferito la proprietà della palazzina all’istituto assicurativo israeliano. Per fortuna solo temporaneamente.

Nella veduta dall’alto di Gerusalemme si può notare la piccola casetta con le bandiere israeliane. Foto di Giacomo Cioni

Dopo una battaglia legale la famiglia palestinese è riuscita a ottenere la maggior parte della proprietà dei locali, ma i ‘coloni’ hanno mantenuto l’ultimo piano dell’edificio allestendo così la casetta prefabbricata, con tanto di piccola palestra a cielo aperto e living room. Secondo il racconto che abbiamo scovato sul libro ‘Israeli Settlement, Policy in Jerusalem’ di Allison B. Hodgkins (del 1998), la famiglia palestinese della signora inizialmente truffata, possiede anche un terreno immediatamente dietro la sede dell’istituto assicurativo a Gerusalemme. Uno dei suoi membri aveva tentato di costruire un’abitazione, ma il Comune gli ha spiegato che avrebbe ottenuto il permesso per quel lotto solo se avesse accettato di facilitare il trasferimento del complesso familiare nella parte vecchia della città al gruppo di coloni. Quando alla fine ha tentato di costruire senza permesso la struttura è stata demolita e in seguito gli è stata comminata una multa di 40.000 Shekel.

La matriarca della famiglia è deceduta da qualche anno e in quella casetta sul tetto si alternano ad abitarla giovani ebrei ortodossi. Ci raccontano che le tensioni non mancano, che si susseguono episodi di cattivo vicinato, cose che forse possono accadere anche nei nostri condomini, ma l’origine di quella piccola costruzione è del tutto legata a una volontà prevaricante. Non si può dire che quel prefabbricato rappresenti un’abitazione confortevole: potrà ospitare a malapena una piccola cucina, un divano letto e un bagnetto. È solo un simbolo.

Un’altra abitazione israeliana più grande alle spalle dell’Ospizio Austriaco. Foto di Giacomo Cioni

Al di là dell’aspetto amministrativo della vicenda, che a quanto pare non è assolutamente una novità a Gerusalemme e dintorni, quel piccolo avamposto, contornato da tre grandi bandiere di Israele, è davvero una rappresentazione plastica di cosa può significare oggi ‘occupazione’ nei territori palestinesi.

Tutto questo anche in una città millenaria come la vecchia Gerusalemme, che comunque – nonostante il controllo asfissiante dell’esercito e della polizia israeliani – resta un esempio di convivenza e integrazione, dove cristiani, ebrei e musulmani passeggiano e vivono l’uno a fianco all’altro.

*In copertina la casa prefabbricata costruita sul tetto di ‘Zorba Complex’ nel centro della Old City di Gerusalemme Est, foto di Giacomo Cioni

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