dal nostro inviato Emanuele Giordana
Bangkok – Mentre il governo birmano dà il via alla costruzione di un muro nella terra di nessuno che separa il Paese dal Bangladesh, la magistratura dell’ex capitale dice no al ricorso dei due reporter della Reuters condannati a sette anni di carcere nel settembre scoso. Due notizie in parallelo che danno conto di un’ennesima svolta autoritaria nel Paese delle mille pagode.
La giustizia birmana ha infatti rigettato ieri a Yangon, l’ex capitale, il ricorso presentato in appello dai due giornalisti birmani dell’agenzia internazionale di stampa Reuters che sono stati condannati in primo grado per violazione del segreto di Stato. Il giudice ha sostenuto che la difesa di Wa Lone e Kyaw Soe Oo non è stata in grado di dimostrare la loro innocenza e che la punizione comminata in precedenza è “adeguata” al crimine commesso.
I due giovani reporter birmani avevano raccolto prove dirette sui
Stephen Adler, già direttore di Reuters News e presidente di Reuters Corporation, ha definito il rifiuto della corte “un’ennesima ingiustizia. Il giornalismo non è un crimine – ha aggiunto – e finché il Myanmar continuerà a commettere errori simili, la sua stampa non potrà considerarsi libera”. Sul dossier rohingya e le violazioni da parte dell’esercito birmano sta indagando anche la Corte penale internazionale.
Kamal Ahmed, commissario capo a Cox’s Bazar – dove si trovano i campi profughi con oltre 700.000 rohingya, ha inviato una lettera al governo martedì, esprimendo preoccupazione per i lavori di costruzione e le sue possibili conseguenze. La situazione rimane dunque molto tesa nello Stato del Rakhine dove si sono registrate nuove violenze (di cui vi abbiamo dato conto nei giorni scorsi) e tra Myanmar e Bangladesh su una delle frontiere più calde dell’Asia.
In copertina i due giornalisti birmani Wa Lone e Kyaw Soe Oo. Nel testo, la Nobel e premier de facto Aung San Suu Kyi