Dopo che il parlamento cinese ha approvato la decisione di andare avanti con la formulazione della controversa legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong che ne mina fortemente l’autonomia, le reazioni non si sono fatte attendere. Soprattutto da
Gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione diplomatica contro la mossa della Rpc di imporre la nuova legge e con i suoi tre omologhi ha firmato una dichiarazione che invita Pechino a lavorare con Hong Kong per trovare una soluzione: “La decisione della Cina di imporre la nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong è in conflitto diretto con i suoi obblighi internazionali in base ai principi della Dichiarazione congiunta sino-britannica legalmente vincolante e registrata dalle Nazioni Unite”, si dice nel testo firmato anche dal britannico Dominic Raab, dall’australiana Marise Payne e dal canadese François-Philippe Champagne.
A Pechino Il Congresso nazionale del popolo ha votato giovedì con 2.878 voti a favore la decisione di autorizzare il proprio Comitato permanente a redigere la legislazione (1 contrario 6 astensioni). Una
La legge modificherebbe la mini-costituzione del territorio, o Legge fondamentale, per imporre al suo governo di applicare misure che saranno decise in seguito dai leader cinesi. La fine, secondo diversi osservatori, non solo dell’autonomia della città ma del paradigma: “Un Paese due sistemi”, in vigore dal 1997 quando l’ex colonia britannica tornò alla Cina.
(Red/Em.Gi.)
In copertina una veduta di Hong Kong di Florian Wehde