di Sara Cecchetti
Imbrogli, manifestazioni e violenza costante: l’atmosfera in Mozambico non sembra avere risvolti positivi. Il 9 ottobre 2024 le elezioni presidenziali avevano determinato la vittoria di Daniel Chapo, leader del Frelimo, partito a capo del Paese dall’indipendenza del 1975. Che il processo elettorale si sia svolto legalmente è messo in dubbio tanto a livello nazionale che internazionale; se la Missione Elettorale dell’Unione Europea ha dedicato 91 pagine di report alla mancanza di trasparenza e credibilità dei risultati elettorali, la popolazione locale ha fin da subito cominciato ad insorgere. Le manifestazioni, sorte inizialmente come proteste pacifiche contro i brogli elettorali, sono state represse violentemente dalle forze dell’ordine.
Il clima di instabilità e terrore è divenuto, così, sempre più preoccupante, con lacrimogeni lanciati sui civili e numero di feriti in continuo aumento. È di pochi giorni fa la notizia dello sventato attentato a Venancio Mondlane, ex candidato presidenziale per il Podemos (Partito Ottimista per lo Sviluppo del Mozambico). Ma facciamo un passo indietro: il partito di opposizione di cui Mondlane è a capo, dopo aver raccolto un significativo sostegno nel periodo precedente alle elezioni, ha ottenuto il 21% dei voti. Il leader del partito non ha esitato a bollare come fraudolente le elezioni e ad invitare i propri sostenitori a manifestare. Proteste che in poco tempo si sono tramutate in veri e propri scontri.
A circa quattro mesi di distanza in Mozambico la situazione non sembra essere migliorata; mentre Mondlane invita a continuare a insorgere, secondo quanto riportato da fonti locali il numero dei morti e degli arresti continua a salire. Una tale criticità non risulta nuova per il Paese, in particolar modo per le sue zone settentrionali: a Capo Delgado la crisi, ormai in corso dal 2017 a causa della presenza jihadista, non sembra trovare fine. Le spiegazioni che all’epoca avrebbero dovuto dare ragione del perché proprio tale provincia sia divenuta vittima di questi contrasti sono rimaste dubbie: Capo Delgado, già allora, era una zona molto povera del Mozambico, ma al pari di altre. Dunque, il fattore economico non basta a chiarificare le cause dello scoppio del conflitto. Probabilmente si tratta di un insieme di elementi: ad unirsi alla povertà, anche lo sfruttamento illegale di risorse, la corruzione dilagante e la molteplicità etnica presente nel territorio. A peggiorare le condizioni di vita dei civili c’è un governo centrale incapace di fornire un intervento deciso nella provincia; ad essere schierato sul territorio è l’esercito ruandese che- oltre ad essere impegnato in operazioni militari- gioca un ruolo rilevante nell’appropriazione di risorse naturali, gas soprattutto. Nel mentre anche il Consiglio europeo integra il sostegno alle forze di Kigali per combattere le forze jihadiste.
Lo spiegamento di risorse, iniziato nel luglio del 2021, vede adesso un supplemento alla già esistente somma di 20 milioni di euro dal Fondo europeo per la pace. Che sia un’azione sufficiente è difficile dirlo, anche perché la presenza ruandese sul territorio rischia di intaccare gli equilibri più generali dell’Africa meridionale, in primis per il timore del Sudafrica di un’eccessiva ingerenza di Kigali in Mozambico. In tale contesto non è difficile comprendere la pressione a cui sono costretti i civili, scissi tra potenze straniere- più interessate a sfruttare le risorse presenti sulle loro terre che a lavorare per la pacificazione di quest’ultime- e un governo totalmente incapace non solo di mantenere saldo il proprio controllo sulla zona, ma anche di provvedere ai servizi sanitari essenziali.