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I dolori del vertice Asean a Giacarta

Emanuele Giordana

Ha reagito male la giunta birmana alle prese di posizione in seno al 43mo Asean Summit, il vertice a Giacarta dall’altra parte del pianeta, dove i dieci Paesi del Sudest asiatico stanno diventando undici con un nuovo matrimonio: con Timor Est, forse nel 2025. I militari birmani considerano le condanne quasi unanimi un punto di vista non obiettivo e non intendono deragliare dalla loro linea. Per l’Asen, il cui summit è iniziato martedi, il Myanmar è una questione irrisolta e anche se il Paese è escluso dal club a livello di vertice, gli atteggiamenti sono diversi e spaccano un fronte che, dal febbraio 2021, aveva preso inizialmente una dura posizione contro i militari golpisti che stanno affondando il Paese in una guerra, meno seguita dai media rispetto all’Ucraina, ma che avrebbe già ucciso oltre 30mila persone.

Alla vigilia del summit del G20 che si terrà da sabato a Delhi – l’altro appuntamento di rilievo in Asia nei prossimi giorni – è ancora la Cina però a tenere banco a Giacarta. In entrambi i vertici. In quello di Giacarta perché quasi tutte le nazioni del Sudest hanno un problema con Pechino. In quello di Delhi perché Xi Jinping non ci andrà, con uno schiaffo al padre padrone del Paese più popoloso del mondo con cui la Rpc è ai ferri corti.

I cinesi, per altro, han pensato bene, settimana scorsa, di pubblicare sul sito web del Ministero delle Risorse Naturali, una mappa che include alcune aree contese nello Stato indiano dell’Arunachal Pradesh e nell’altopiano dell’Aksai Chin, facendo infuriare Delhi. Ma la mappa si appropriava anche di una parte del Mar Cinese Meridionale, oggetto di contesa da Taiwan alla Malaysia, dal Vietnam alle Filippine fino al piccolo Brunei. Una grana alla vigilia del vertice che mette i bastoni tra le ruote non solo all’idea del presidente indonesiano Joko “Jokowi” Widodo che vorrebbe fare dell’Asean l’“epicentro della crescita” asiatica, ma anche alla possibilità di far andare avanti il cosiddetto Asean Outlook on the Indo-Pacific (Aoip), firmato dal club a Bangkok nel 2019: vorrebbe essere un quadro “inclusivo” (quindi con Pechino) anche per rispondere al Quadrilateral Security Dialogue (Quad) – in chiave anticinese – tra  Australia, Giappone, India e Usa.

Uscire dalle sabbie mobili non è facile anche perché, in agenda c’è un incontro Asean-Cina (e giovedi Asean-India) che ha comunque già negoziato un Codice di condotta (Coc) nel Mar Cinese Meridionale che la Rpc non sembra rispettare. Quanto ai cinesi, il premier cinese Li Qiang ha affermato ieri che è importante evitare una “nuova guerra fredda”, alludendo ovviamente ai contenziosi con Washington.

Anche sugli altri dossier – se si esclude quello più lineare di Timor Est – si va in salita. Il Myanmar innanzi tutto e infine la conclusione del vertice asiatico cui presenzieranno anche partner stranieri che si guardano in cagnesco come Usa e Cina (né Biden né Xi però parteciperanno), elemento di seria preoccupazione nell’area. Quanto alla giunta di Yangon, l’affondo è arrivato dal Paese al momento più progressista, con l’Indonesia, tra le nazioni Asean: “La Malaysia e altri Paesi membri hanno espresso il loro punto di vista secondo cui non possiamo permettere che ciò continui senza misure forti ed efficaci imposte alla giunta”, ha detto il ministro degli Esteri di Kuala Lumpur, Zambry Abdul Kadir, riferendosi al fallimento del Piano in 5 punti dell’Asean per risolvere la crisi birmana e su cui Zambry ha accusato i militari di creare continuamente ostacoli. Ma il fronte non è unito. Malaysia, Indonesia, Singapore e Filippine sono i più duri. La stessa Timor Est minaccia di riconsiderare l’adesione all’Asean se le cose in Myanmar non cambieranno. Il Vietnam e il Laos però fan finta di nulla e la Cambogia fa l’occhiolino a Yangon.

Ma il nodo più indigesto è la Thailandia. Nel regno siamese, i militari l’hanno spuntata ancora una volta e, seppur ridimensionati, tornano al governo. Inutile dire che un esecutivo di civili ed ex generali come quello che si sta insediando a Bangkok non avrà molta voglia di fare le pulci agli uomini in divisa al di là dei suoi confini occidentali. Per ora dal summit è uscita solo la riaffermazione del Piano in 5 punti mentre la rotazione della presidenza Asean nel 2026 non andrà a Yangon ma a Manila.

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