Il buio sulle Scam City

La Cina, prima vittima degli Scam Center, ha detto basta: ha imposto ai birmani di liberare gli "scammisti" e ha obbligato la Thailandia a tagliare l’elettricità
Testo di Emanuele Giordana. Foto di Monika Bulaj

Mae Sot (Thailandia)È al buio lo Star Complex Casinò, qualche chilometro a Nord di Myawaddy: lo si vede chiaramente dal lato tailandese del fiume Moei che fa da confine tra Thailandia e Birmania. Ed è al buio anche Shwe Kokko, la più famosa “Città del vizio” con tutta l’offerta del tavolo verde per tailandesi o cinesi che nel loro Paese d’origine non possono giocare d’azzardo e usufruire di tutte le specialità connesse. Ma Shwe Kokko e Gate25 – come l’area Star Complex è conosciuta – da Sin City, città del vizio, si sono trasformate in Scam City, città della truffa. Per questo sono così note e sono al buio.

Le Scam City sono centri urbani – vecchi o di recente costruzione – che contengono edifici sigillati, singoli o collegati: vere e proprie prigioni guardate a vista da scherani armati e in cui si può solo entrare. Ti assoldano con réclame su internet che promettono lauti guadagni a giovani informatici e poi ti ritrovi senza passaporto né telefono a utilizzare le tue competenze per truffare al telefono anziani poco avvezzi alla tecnologia o giovani che vorrebbero far soldi facili col web. Si “gioca” in criptovalute. E si rimane fregati. Ma i truffatori, gli “scammer”, sono spesso vittime a loro volta. Una sorta di moderna schiavitù con risvolti hi tech che la mafia cinese ha inventato durante il Covid, quando le Sin City non potevano accogliere clienti. Qui, sulla sponda birmana del Moei, sono stati finanziati una decina di questi centri con migliaia di “scammisti”: 100mila secondo la Cina, fino a 140mila, secondo altre fonti, lungo tutto il confine thai-birmano.

Poi a un certo momento la Cina, prima vittima degli Scam Center, ha detto basta. Ha imposto ai birmani la liberazione degli scammisti e obbligato la Thailandia a tagliare le forniture che alimentavano le città-truffa. Che dalla luminosa via dei soldi facili si devono adesso abituare al buio che cala inesorabile al tramonto e che isola questi luoghi che son fabbriche di soldi ma anche di dolore e arguzia criminale. Qualche generatore, in parte, supplisce. Tutto è cominciato con la scomparsa e poi il ritrovamento dell’attore cinese WangXing che, come lui stesso ha raccontato nel gennaio scorso, si era recato a Bangkok per essere scritturato in qualche progetto ed è poi finito in una Scam City. Magro ed emaciato in conferenza stampa, una volta liberato, ha proiettato il volto della paura su tutti i media cinesi, accompagnato da una campagna sui pericoli cui un turista dell’Impero di mezzo potrebbe trovarsi di fronte nella Terra dei sorrisi e delle orchidee, meta ambitissima del viaggiatore made in China. Non ci è voluto molto e qualcosa come un milione di cinesi ha cambiato idea preferendo alla Thailandia altre mete (il Giappone soprattutto). Un danno economico enorme per un Paese che, prima del Covid, accoglieva 10 milioni di cinesi e che a fatica stava rimontando nella classifica delle presenza straniere post virus.

Tutto ciò deve aver convinto Bangkok a fare sul serio dopo anni di melina senza mai prendere troppo in considerazione le proteste della Rpc. Sono iniziate operazioni di polizia ed esercito soprattutto a Mae Sot, città thai gemella della birmana Myawaddy: controlli più serrati su stranieri, profughi e clandestini accompagnati da misure draconiane come il taglio di luce, internet e forniture energetiche al Myanmar. I Thai, che già in passato avevano fatto simili tagli per poi ripristinarli, questa volta hanno chiuso davvero i rubinetti, mentre ufficiali di dogana o amministratori corrotti sono finiti sotto inchiesta.

Anche dall’altra parte del fiume, in Birmania, han dovuto fare buon viso a cattivo gioco. E la Guardia di frontiera Karen (Bgf), alleata ai soldati della giunta golpista, ha liberato circa 7mila scammisti, vittime a loro volta – come nel caso di Wang – di pubblicità che hanno attirato migliaia di giovani uomini e donne soprattutto cinesi ma anche indiani, pachistani, persino africani. La liberazione e il loro rimpatrio, ancora in corso, riguarda scammisti di 28 nazionalità. Che, nei giorni scorsi, hanno iniziato il trasferimento nelle rispettive capitali. I cinesi sono stati i più rapidi con gli indonesiani e gli indiani. Tornano con aerei di varie nazionalità che fanno la spola tra l’aeroporto di Mae Sot e le rispettive madrepatrie. Li abbiamo visti scendere da bus oscurati provenienti dal Myanmar e salire, scortati dalle diverse polizie, su aerei diretti a Kunming o verso Giacarta e Delhi.

Ma quanto vale e dove arriva e dove arriva il business delle truffe telefoniche? Le prime vittime sono i cinesi. Al secondo posto ci sarebbero gli americani. Ma non sfugge nessuno. Agli inizi di marzo, il ministero in capo ai servizi digitali thai ha reso noto che le perdite dovute alle truffe telefoniche si sono dimezzate, da circa 100 milioni di baht al giorno (circa 2,7 milioni di euro) a meno delle metà da che Bangkok ha interrotto le forniture oltre il fiume Moei. Secondo l’Economist, megli Stati uniti le cybertruffe potrebbero fruttare una media di 50 miliardi di dollari l’anno. Ma secondo l’Interpol, le organizzazioni criminali del Sudest asiatico si sono allargate fino a formare una rete globale con un giro d’affari che varrebbe oggi una cifra da capogiro: circa 3mila miliardi di dollari l’anno. Denari che, una volta riciclati con un giro di “scatole cinesi”, arriverebbero persino in Europa per essere investiti in attività pulite.

Le cybertruffe arrivano anche da noi? La rete è cosi diffusa che è senza dubbio così. Ma non con la tipica modalità di «Papà mi si è rotto il telefono» con cui si adesca il genitore che subito spedisce mille auro al figlio bisognoso: attività criminali “classiche” che arrivano dall’Africa o dai Balcani. Gli scammisti asiatici sono molto più raffinati. Si comincia su Telegram o, assai più raramente, su whatsapp con uno «Scusa ho sbagliato numero?». Se si risponde, parte un avvicinamento da vero manipolatore seriale magari con foto artefatta del proprio profilo e persino una voce della compagna o del compagno che avete sempre sognato e che l’AI ha costruito su misura per voi. Dopo conversazioni che possono durare settimane, per convincervi che è tutto in regola, vi fanno comperare criptovalute su un conto condiviso e si cominciano a vedere soldi veri. Fino a che: «Facciamo il colpaccio?»” E l’acquisto sicuro si trasforma in truffa. Il conto condiviso sparisce e così soldi e profilo. Date un’occhiata al vostro cellulare. Se c’è un allegro asiatico/a che vuol fare la vostra conoscenza, meglio lasciar perdere.

Reportage realizzato con il supporto di Journalismfund Europe

In copertina:   Edifici di Scam City in Myanmar, visti dal lato tailandese della frontiera lungo il fiume Moei. Il manufatto d’acciaio sul lato sinistro è ciò che resta di un passaggio tra i due Paesi in epoca pre-Covid, quando la Scam City era una Sin City, foto di Monika Bulaj

Nel testo: Una donna birmana karen vende merce di contrabbando al mercato semi-legale alla frontiera tra Thailandia e Myanmar, foto di Monika Bulaj

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