di Filippo Rossi
Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato lunedì mattina che intende ritirare la sua decisione di dichiarare “persona non grata” gli ambasciatori di 10 Paesi – tra cui 7 alleati Nato – de facto espellendoli dal Paese, dopo la crisi diplomatica innescata giovedì scorso dalla presentazione di un appello per liberare l’imprenditore
A calmare le acque ci hanno pensato anche gli Stati Uniti, intervenuti direttamente appellandosi all’articolo 41 della Convenzione di Vienna, il quale non permette a rappresentanti di un altro stato di interferire negli affari interni del Paese in questione e quindi scusandosi indirettamente. Una mossa imitata anche da Canada, Nuova Zelanda e Olanda, con Norvegia e Finlandia che hanno ritwittato il commento ufficiale statunitense. L’inviato dell’Unione europea, Nikolaus Meyer-Landrut, si è detto soddisfatto del calo di tensione: “Tutti hanno trovato un’ottima via d’uscita dalla crisi”.
L’espulsione fra diplomatici non è un evento nuovo per la Turchia. Negli ultimi anni è successo con Siria, Egitto e Israele, il che ha comportato il principio di reciprocità, ovvero con l’ambasciatore dell’altro Paese anch’esso costretto a lasciare la sua sede. Ma qui si tratterebbe di Paesi con i quali la Turchia intrattiene ben altre relazioni visto l’Alleanza atlantica. Ritirando la sua decisione, Erdogan ha preso una decisione ponderata. La crisi è stata scaturita giovedì 18 ottobre, dopo che una petizione congiunta firmata dagli alti rappresentanti di Germania, Francia, Stati Uniti, Danimarca, Norvegia, Svezia, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia e Olanda è stata sottoposta alla presidenza turca. Gli ambasciatori si sono appellati a una sentenza del 2019 della Corte europea per i diritti dell’uomo a Strasburgo che richiedeva la liberazione del filantropo Osman Kavala, imprenditore e personaggio di spicco della società civile turca, detenuto senza essere stato giudicato dal 2017 rischiando l’ergastolo.
In un comunicato lanciato sabato, Erdogan ha sorpreso tutti annunciando di aver dato precise disposizioni al Ministro degli Esteri Mevlüt Cavusoglu di convocare i rappresentanti diplomatici e prepararsi a formalizzare la
Osman Kavala è diventato il simbolo di molti attivisti che sono stati detenuti dopo i fatti di Gezi Park del 2013. Considerato un filantropo da molti, ha partecipato a numerosi convegni e consigli di amministrazione di associazioni culturali e in difesa dei diritti umani per decenni, fondando anche la sua propria associazione nel 2002, “Anadolu Kultur”, la quale ha promosso arte e cultura, diversità e iniziative locali in tutto il paese.
Tuttora, Ankara continua a non riconoscere la sentenza di Strasburgo. La Corte europea ha dichiarato che “il continuo rinvio del suo giudizio è negativo per la democrazia, il rispetto della legge e per la trasparenza in Turchia”. Ma Erdogan, dal lato suo, ha detto che: “La costituzione mostra come la Turchia sia uno stato democratico e che rispetti i diritti umani senza intaccare il suo sistema giudiziario”. Gli oppositori politici hanno accusato il presidente di voler creare un caso diplomatico per far cadere il valore della lira e così usarla nelle prossime elezioni, previste per il 2023. Gli attivisti dei diritti umani e critici occidentali sottolineano invece come il sistema giudiziario sia contro gli oppositori di Erdogan. Il prossimo appello di Kavala è previsto per il 26 novembre, data limite che Strasburgo si è posta per dare una possibilità al governo di Ankara di liberarlo, minacciando altrimenti di prendere provvedimenti contro la sua permanenza nell’istituzione.
In copertina: Ankara in uno scatto di Febiyanr
Nel testo: Erdogan e Osman Kavala