di Raffaele Crocco
Succede di tutto nel Risiko mondiale. Soprattutto, sembra che i cattivi abbiano sempre più ragione. Sembra anche che progetti ed alleanze apparentemente solide, non lo siano. Sembra, soprattutto, che la guerra non debba mai finire. Lo sanno bene, loro malgrado, i Palestinesi tutti, nella Striscia di Gaza in particolare. Israele ha dichiarato defunto l’accordo del cessate il fuoco che reggeva, a fatica, da due mesi. Il Governo Netanyahu ha recitato il solito ruolo, dimostrando nei fatti che l’unico obiettivo che ha in testa è annientare il popolo palestinese, costringendolo ad andarsene dalla propria terra. E’ una continua guerra coloniale, quella israeliana, mascherata da esigenza di difesa. Il risultato, dicono le fonti internazionali, sono almeno 400 morti nelle prime 48 ore di ripresa dei combattimenti.
La tregua tra Israele e Hamas si è chiusa drammaticamente dopo sessanta giorni, nella notte tra lunedì e martedì di questa settimana, quando i caccia dell’Idf hanno ripreso a bombardare intensamente Gaza. Il governo israeliano ha scaricato le responsabilità della nuova fase di guerra su Hamas, colpevole di non aver rilasciato gli ostaggi e di aver rifiutato le proposte dell’inviato statunitense, Steve Witkoff. Tesi questa respinta dal portavoce di Hamas al tavolo negoziale, Abdel-Latif al-Qanoua. “Hamas – ha dichiarato – non ha respinto le proposte degli Stati Uniti, che erano e sono sul tavolo. Il Governo Netanyahu ha scelto di attaccare per ostacolare l’accordo. Noi continueremo a trattare”.
Una menzogna, insomma e non sarebbe la prima, quella raccontata dal governo israeliano, che sul fronte interno sta subendo l’attacco politico dei parenti dei rapiti. Lo accusano di non fare quello che serve per portarli a casa. La politica di Tel Aviv, d’altro canto, resta aggressiva su ogni fronte. In Cisgiordania continua l’offensiva dell’esercito israeliano e, contemporaneamente, si moltiplicano le azioni dei coloni israeliani contro i Palestinesi. Dal 7 ottobre 2023, sarebbero almeno mille quelli uccisi. Le forze israeliane continuano anche ad occupare parte del territorio siriano, facendo crescere le tensioni nel Paese, ancora alle prese con la riorganizzazione dopo la fuga del presidente al Assad. E benzina sul fuoco viene gettata anche nel Mar Rosso, dove gli Houthi – sempre appoggiati dall’Iran – continuano la loro azione di attacco alle navi dei Paesi che appoggiano Israele. Gli Stati Uniti hanno reagito con una cinquantina di raid aerei sullo Yemen, mirati a distruggere le postazioni d’attacco houthi. Hanno preso di mira la capitale, Sanaa, il porto di Hodeida – dove arrivano le armi inviate dalla Repubblica islamica – e diverse altre aree, distruggendo siti militari, arsenali e basi. Voci non confermate raccontano di una nave dell’intelligence iraniana, in navigazione nel Mar Arabico, colpita e affondata: sarebbe un’azione diretta contro l’Iran. Gli Yemeniti, da parte loro, hanno colpito una petroliera e altri mercantili. Hanno anche annunciato che non cesseranno le ostilità.
E la guerra continua anche in Ucraina, nonostante l’ottimismo sbandierato da Donald Trump al termine della lunga telefonata con il Presidente russo, Putin. Il Presidente statunitense partiva dalla proposta di un cessate il fuoco generale di trenta giorni, per avviare i negoziati. Ha ottenuto trenta giorni di cessate il fuoco solo su infrastrutture e centrali elettriche. Sul resto, Putin non ha mollato, ribadendo che, per la tregua, serve, innanzitutto, che cessino le forniture di armi a Kiev e finisca subito il supporto dato alle forze armate ucraine dall’intelligence statunitense ed europea. L’ipotesi non è piaciuta al Presidente ucraino Zelensky, che pur ribadendo di voler la pace, sa di non poter rimanere in balia di Mosca. In aiuto a Kiev sembrano arrivare i governi dell’Unione Europea. L’Ue, sul punto, non molla. Chiede “solide e credibili garanzie di sicurezza per scoraggiare future aggressioni russe” e ribadisce il “continuo e incrollabile sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina”. Comunque sia, la diplomazia pare al lavoro, ma la strada per il negoziato appare lunga e contraddittoria. Intanto, al fronte si muore. Le forze armate ucraine sembrano chiuse in una sacca nel territorio russo di Kursk che avevano conquistato nell’estate del 2024. Ad Est, la pressione russa diventa sempre più difficile da contenere, mentre continuano i bombardamenti.
Il caos è generale. E mentre si muore nel Vicino Oriente e in Ucraina, si tratta faticosamente per la Repubblica Democratica del Congo, si uccide in Somalia, Sudan, Myanmar. E si spezzano progetti che sembrano decollare. Nelle fila degli “antagonisti”, qualcosa si sta rompendo. Due Paesi fondatori del Brics, Brasile e India, hanno fatto sapere che loro non sono così favorevoli a cambiare l’assetto del commercio mondiale. Insomma, per loro il dollaro può rimanere la moneta di riferimento. E mentre questo accade, Mosca, da tre anni alleata di ferro di Pechino e fondatrice con la Cina sempre del Brics, decide di imporre dazi più alti all’importazione delle auto cinesi. Quando si dice il caso: è accaduto 24 ore dopo la telefonata fra Putin e Trump.