Il terremoto, la guerra e gli aiuti

Un'ennesima tragedia, oltre al conflitto, si abbatte sul Myanmar

di Emanuele Giordana

Ci vorranno giorni o forse settimane per sapere l’entità del danno causato dal sisma con epicentro in Myanmar che ha colpito anche la Thailandia. Non solo perché i danni effettivi di un terremoto in termini di vite umane possono richiedere persino mesi ma anche perché non c’è praticamente quasi nessuno che può raccontare quanto sta accadendo. Avremo informazioni dettagliate – già in parte ne abbiamo – dal regno thai. Non ne avremo quasi dalla Birmania, un Paese off limits per i giornalisti stranieri e dove i pochi media indipendenti locali, che hanno ormai le redazioni all’estero, fanno fatica a districarsi tra informazione reale e mistificazione, manipolazione, notizie false, taglio dei fondi.

Fatta questa premessa è anche abbastanza facile purtroppo presagire quanto avverrà sul fronte degli aiuti. Non tanto la solita polemica (arrivano in ritardo e sono insufficienti), che non è spesso nemmeno una polemica seria (gli aiuti necessari arrivano sempre con un ovvio ritardo e di solito sono anche sufficienti a coprire l’emergenza). Il dramma vero riguarda da chi, come, dove, quando e a chi gli aiuti saranno distribuiti. Se sarà fatto discriminando, utilizzando politicamente alimenti e medicine, se si privilegerà questo o quel villaggio. La Birmania è un Paese in guerra. Una guerra che si combatte anche vietando che il sostegno arrivi a chi ne ha bisogno, mettendo in difficoltà le Nazioni Unite e facendo si, come già in passato, che l’aiuto esterno vada solo dove la giunta golpista vuole. Polemiche già viste e che è facile presagire.

La Birmania è un Paese in guerra e il Sagaing, epicentro del sisma 7.7 di venerdi, è uno dei punti nevralgici di questa guerra. E’ una regione (divisione) dove la maggioranza della popolazione è bamar ed è dunque vitale per la giunta il suo controllo come quello delle altre regioni centrali del Paese lungo il fiume Irrawaddy. Bamar sono i quadri dell’esercito golpista, bamar sono i generali e spesso gli amministratori. Sagaing dunque, come altre zone a maggioranza bamar, costituisce in teoria per i generali di Naypyidaw la base sociale del loro potere. Equazione però non vera proprio perché quelle maggioranze sono invece la base sociale di un esecutivo clandestino (Nug) che si rifà agli anni del governo Aung San Suu Kyi e appoggia la People’s Defence Force, la guerriglia che risponde direttamente al Nug. Inoltre, gli “eserciti etnici” – le formazioni Chin, Kachin, Karen, Mon e così via – premono sui lati di queste regioni contese che stanno vedendo una potente avanzata militare da Ovest capeggiata dall’Arakan Army, una milizia che nella “sua” regione (l’Arakan) ha già conquistato il 90% del territorio e ora preme sulla capitale Sittwe.

Sono tutti motivi che faranno compiere alla giunta i salti mortali per guadagnare consenso nelle zone bamar colpite dal sisma (tra cui anche Yangon e Mandalay) e per evitare che sia la Resistenza a gestire quel poco che arriverà. Poco anche perché il drastico congelamento dei fondi di Usaid voluto dalla coppia Trump/Musk ha già messo in difficoltà tutta la filiera dell’aiuto umanitario. Tagliando le gambe alle Ong locali, che quei finanziamenti tenevano in piedi, le già scarse garanzie di un sostegno non discriminante si riducono al lumicino. Sulla catastrofe del sisma si abbatte così la vecchia polemica sugli aiuti Onu, la ricerca del consenso della giunta e gli sciagurati tagli del principale donatore al Myanmar. Per non farsi mancare nulla, l’Amministrazione dei due tagliatori ha fatto chiudere i battenti sia all’Us Insitiute for Peace (Usip) sia a Voice of America. Canali attraverso cui anche i giornalisti birmani potevano avere una chance per lavorare e raccontare la verità sul buco nero di nome Birmania. Che corre il rischio di tornare a essere tale nel giro di qualche settimana.

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