“In Siria è punizione collettiva“

Intervista a Veronica Bellintani, direttrice del dipartimento legale del Syrian Legal Development Program, sui nuovi scontri settari che hanno provocato quasi 1.000 morti

di Alessandro De Pascale

La Siria è piombata nuovamente nel caos. Nei governatorati di Latakia, Tartus, Hama e Homs sono 803 le vittime accertate causate dei combattimenti tre le forze di sicurezza siriane del nuovo Capo di Stato Ahmed al-Sharaa e le milizie fedeli all’ex presidente deposto Bashar al-Assad, avvenuti tra il 6 e il 10 marzo. Questi i numeri contenuti nella relazione preliminare della Rete Siriana per i Diritti Umani (SNHR), un gruppo di monitoraggio indipendente con sede nel Regno Unito che fornisce i dati delle vittime a varie agenzie delle Nazioni Unite. Nel rapporto è stata documentata l’uccisione di almeno 420 civili e combattenti disarmati, tra cui 39 bambini, 49 donne e 27 membri del personale medico. Presi di mira anche giornalisti e operatori umanitari. La maggior parte delle vittime sono alawiti, una minoranza sciita a cui appartiene la famiglia Assad, che per cinquant’anni ha governato la Siria.
Ne abbiamo parlato con Veronica Bellintani, un’esperta legale che si occupa di diritto internazionale, quindi di ogni questione riguardi crimini di guerra e contro l’umanità. Attualmente è la direttrice del dipartimento legale Syrian Legal Development Program, un’organizzazione siriana non governativa di diritti umani. Se prima della caduta del regime seguiva le violazioni e i processi a livello internazionale, oggi al centro del suo lavoro ci sono la giustizia e la transizione democratica siriana.

Veronica Bellintani, direttrice del dipartimento legale del Syrian Legal Development Program

Bellintani, cosa sta succedendo in Siria?
Quelle violazioni mandano un messaggio chiaro: nella società siriana c’è un odio settario tra le diverse comunità, che nasce da 14 anni di violazioni e di atrocità, soprattutto di carattere settario, dal parte del regime di Assad, che non solo ha distrutto il paese, ma ha anche lasciato un impatto profondo a livello sociale A quanto pare, a un certo livello, c’è tuttora un’incapacità di vedere l’altro in modo più umano, non attraverso questa ottica di punizione collettiva, secondo la quale tutti gli alawiti devono pagare per quello che ha fatto Assad e tutti i sunniti per quello che hanno fatto delle fazioni all’opposizione.

Come definisce la risposta delle fazioni governative all’attacco delle milizie ancora collegate ad Assad?
In generale la risposta delle fazioni governative è rimasta all’interno dei limiti della legge. Ciò nonostante, ci sono stati casi di punizione collettiva da parte di alcune delle fazioni governative. Ovvero punisco qualsiasi alawita in quanto colpevole solo di appartenere a quella minoranza, anche se non affiliato o collegato al regime degli Assad. Abbiamo assistito a diversi casi di violenza settaria in cui a Latakia, Tartus e Hama sono morti tantissimi civili sia alawiti, sia sunniti. Le uccisioni di massa sono purtroppo avvenute da entrambe le parti: da un lato le milizie di Assad (tuttora con grande capacità di manovra), dall’altra alcune forze governative (non ancora tutte allineate).

Qual è stata la risposta del nuovo governo?
La creazione di due diverse commissioni governative. La prima investigherà sulle violazioni avvenute a Tartus, Latakia e Hama dal 6 di marzo in poi, per chiarire cosa è successo e identificare le persone responsabili, così da portarle davanti alla giustizia. La seconda è invece una commissione di pace civile, il cui obiettivo è favorire la riconciliazione e il dialogo all’interno della comunità di Latakia, Tartus e Hama, per quanto riguarda le problematiche precedenti a questi eventi. Entro un mese si capirà se l’intento è reale. Ovvero se anche laddove avvengano violazioni da parte dello Stato, queste vengono immediatamente investigate e poi portate alla giustizia o se resteranno impunite. In questo momento il presente è problematico, ma almeno c’è stata una risposta governativa istituzionale immediata, cosa mai avvenuta ai tempi del regime di Assad. Il futuro dipende molto da come queste due commissioni lavoreranno, se sono state create per far calmare gli animi, senza alcun impatto sulla giustizia e sulla coesistenza o se invece faranno la differenza.

A intervenire in quel modo contro un’insurrezione filo-Assad sono state però proprio le nuove forze governative?
Nonostante il lavoro svolto dal nuovo Presidente della Repubblica Araba di Siria, Ahmed al-Sharaa, ci sono delle fazioni, delle correnti, che non seguono la stessa forza statale. Quello attuale è ancora un puzzle di diversi gruppi. Sulla base di alcune evidenze molte delle delle uccisioni di massa sono state perpetrate da due fazioni dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) fino all’8 di dicembre collegato alla Turchia, noto per una mancanza di disciplina e per un carattere abbastanza settario o razzista, prima nei confronti dei curdi, ora verso gli alawiti. Queste fazioni ora sono parte del sistema statale, dell’esercito nazionale. Pur potendo notare un’origine diversa, stiamo comunque parlando di forze governative quindi è responsabilità dello Stato fare in modo che queste violazioni non avvengano, che non ci sia discrepanza tra le diverse forze governative.

Però anche il nuovo leader de facto siriano Ahmed al-Sharaa e la sua organizzazione Hayat Tahrir al-Sham (Hts) sono accusati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani e di crimini di guerra nel governatorato di Idlib che controllavano prima di salire al potere nell’intera Siria?
Se Ahmed al-Sharaa e Hayat Tahrir al-Sham governeranno la Siria nella sua interezza come hanno governato Idlib, quello sarebbe sicuramente un problema. Ma la nuova amministrazione, se ci basiamo sulle evidenze attuali, sembra voler creare un futuro diverso, un sistema o un’amministrazione della giustizia differente rispetto a quello di Idlib. In primis perché non se lo possono permettere. Negli ultimi mesi c’è stata molta collaborazione tra la nuova amministrazione e la società civile siriana, gli incontri sono stati numerosi. Finora l’approccio e il lavoro, anche in merito all’amministrazione della giustizia, è stato molto diverso da quello che si conosce di Idlib. Stiamo comunque parlando di una giustizia di transizione, come ha ammesso lo stesso Ahmed al-Sharaa. Il Ministro degli Esteri Asaad al-Shaibani e il suo team stanno già lavorando con le varie articolazioni dell’ONU, con le commissioni d’inchiesta, con il meccanismo di investigazione che si occupa degli scomparsi. Da gennaio stanno avendo delle missioni abbastanza frequenti in Siria, senza avere alcun tipo di restrizione da parte del del nuovo governo. Se poi l’amministrazione della giustizia sarà completa, interessando non solo i criminali del regime di Assad ma anche quelli delle altre frazioni, è tutt’altra questione. Ma di per sé sembra ci sia una grande apertura al mondo delle Nazioni Unite, quindi anche al diritto internazionale, ai diritti umani e alla loro applicazione in un modo più efficiente o comunque più corretto a livello nazionale.

Un’altra minoranza in Siria è quella dei curdi, che peraltro non sono nemmeno arabi. Come gestire la presenza delle milizie filo-turche di cui parlava in Rojava?
Le milizie filo-turche sono state inglobate nello Stato, quindi non vanno più fatte distinzioni sul tipo di territorio o fazioni. Lo Stato siriano deve mantenere autorità e controllo su tutto il Paese, inclusi i territori curdi. Ma per quello che è successo nelle zone di Afrin, di Sere Kanie e più in generale nella Rojava ci deve essere una risposta di giustizia. I detenuti arrestati ai tempi in modo arbitrario e presenti nelle carceri che erano gestite dalle milizie filo-turche, ora sotto il controllo dello Stato, devono essere rilasciati. Si deve investigare sui casi delle persone scomparse, per capire cosa gli è successo, se sono morti o se sono ancora vivi. I cittadini curdi che sono stati vittime di pulizia etnica e che sono stati costretti ad abbandonare Afrin, Sere Kanie e Manbij devono avere il diritto di farvi ritorno. Senza fare distinzioni etnico-religiose vanno garantiti i diritti e l’accesso alla giustizia, alla riparazione e alla verità a tutti i cittadini siriani. Assicurando quindi anche i curdi giustizia nei confronti delle violazioni che le milizie filo-turche hanno commesso. Sui leader di queste fazioni si deve investigare, ci deve essere un processo di giustizia di transizione. Però non si può più parlare di territori curdi, drusi, alawiti, sunniti, perché questo non aiuta la popolazione a sentirsi cittadina e allo Stato siriano di prendersi la responsabilità di essere nazione per tutti i suoi abitanti. Quando c’è stata la firma dell’accordo tra Ahmed al-Sharaa e le le forze curde Sdf i miei colleghi e contatti siriani hanno postato sui social una foto con la mappa della Siria verde, intera, unica e indivisibile. Al momento c’è la visione di vedere la Siria in modo unico, una visione di responsabilità nei confronti di tutta la popolazione senza distinzioni, dell’intera società siriana, a differenza di quello avvenuto sotto Assad.

Nella foto in copertina, un miliziano di Hayat Tahrir al-Sham durante le celebrazioni della vittoria della rivoluzione siriana (13 dicembre 2024) ©Mohammad Bash/Shutterstock.com

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