Iran, chilometri e incontri per scoprire il Paese

di Alice Pistolesi

Nella metro di Tehran, così come  nel resto del Paese, è facile fare incontri. Può così capitare di sentirsi raccomandare di “fare attenzione a tornare in Europa. Perché l’Europa è piena di terroristi ed è così pericolosa”.

E’ strano come mutino i punti di vista a seconda della prospettiva, del punto esatto da cui  si vive e si osserva il mondo.  Così, per la mia esperienza di viaggiatrice nell’Iran del 2017, almeno per l’area che  va da Tehran a Kerman, la cosa più pericolosa che può succedere è quella di essere investita.  La paura vera dei giorni persiani è stata nei momenti topici nei quali era necessario attraversare la strada. Non che il marciapiede, corsia di fatto delle moto, fosse passaggio più sicuro.

Si scopre che un Paese con i confini infuocati è estremamente calmo all’interno. Viaggiare in Iran, nonostante l’accerchiamento dei fronti  aperti e la più che delicata situazione internazionale e diplomatica, è tutt’altro che pericoloso. Prima di partire credevamo che muoversi come donne occidentali nel Paese ci potesse creare qualche problema, in primis di sicurezza. Niente di tutto ciò. Si tratta infatti di uno dei Paesi più sicuri in cui viaggiare.

Essere donne in Iran, anche occidentali, ha comunque le sue particolarità e restrizioni. Il velo è una costante dell’abbigliamento che, in pubblico, non può essere dimenticato. Portarlo tutto il giorno per persone non abituate può creare diverse controindicazioni: dal non sapere come posizionarlo, al caldo, alla limitazione di visuale.

Nelle città più grandi, come Teheran, le donne hanno trovato migliaia di modi per indossarlo e si va da una copertura semi totale in nero, a dei cappellini per le adolescenti, dai quali in qualche caso possono uscire anche capelli rosa shocking.

A Teheran potrà sembrare strano (perché effettivamente secondo il nostro punto di vista lo è) aspettare i mezzi e viaggiare sulla metro in aree divise tra uomini e donne. Le distrazioni da questi pensieri che possono apparire ‘segregativi’ arrivano dalle decine di venditrici (donne e qualche ragazzo) che espongono merci diversificate a seconda del pubblico femminile o maschile, con tanto di dimostrazione.

Visto con gli occhi di chi non lo abita ma lo vive da viaggiatore il Paese pare come in panne, ovattato. Chi si aspetta un paese assediato all’esercito dovrà ricredersi.

Se l’Iran è impegnato in fronti di guerra su più lati, dallo Yemen in appoggio ai ribelli e sulla barricata opposta all’Arabia Saudita, alla Siria, fino alle più che delicate prove di convivenza con la nuova amministrazione Trump, dall’interno tutto ciò non si percepisce.

Negli incontri fatti è molto più facile ritrovarsi a parlare della decennale guerra con l’Iraq scoppiata nel 1980 che dei fronti attualmente aperti.

Così come sarà tutto sommato più comune trovare chi racconta come era vivere prima della Rivoluzione del 1979, sottolineando che il paese nel quale si è cresciuti  non è quello che è stato fino ad oggi, ma nemmeno quello che è ancora oggi.

Accenni di ‘politica esterna’ governativa sono comunque sparsi in tutto il Paese. Soprattutto nelle vicinanze delle moschee o negli aeroporti interni non è difficile notare megaschermi con scene di guerra sotto le quali campeggia la scritta luminosa ‘Down with Usa and Israel’. Abbasso Stati Uniti ed Israele.

In altri manifesti, invece, sta la spiegazione a livello energetico del perché si implementa il nucleare. Questi cartelli sono probabilmente meno impattanti per gli occidentali perché scritti solo in farsi, senza traduzione.

Negli incontri per strada potrà anche capitare di incontrare molte persone che si dicono atee, così come alcune zoroastriane, la più antica comunità religiosa del paese, duramente repressa dalla rivoluzione di Khomeini.

Nonostante questo però la ‘rivoluzione’ resta. Le immagini di Khomeini e del suo successore Khamenei sono ovunque, in qualsiasi luogo pubblico, anche minuscolo o sono riportate in dimensione gigante per le strade.

Il non-assedio avvertito da parte dell’esercito è possibile nonostante l’Iran disponga di varie formazioni armate diverse, militari e para militari, come i tristemente noti guardiani della rivoluzione. Quello che mosse la rivolta iraniana del 2009-2010 pare quindi in questo momento non ripetibile. Le rivolte presero le mosse dalla rielezione di Mahmud Ahmadinejad e proseguirono come moto di protesta contro la sua azione di governo.

La rivolta aveva ottenuto la solidarietà di gruppi e associazioni nazionali e internazionali e ebbe molta eco grazie ad internet.

Il successore di Ahmadinejad, Hassan Rouhani, sulla base del nostro campione di viaggio, sembra apprezzato. Se ne sottolineano le aperture democratiche e la concessione di qualche libertà. Insomma non è più l’Iran degli anni ’80 e, tanto per fare un esempio, anche la musica non è più proibita.

Anche se sentire musica è difficilissimo. Con un po’ di fortuna si trova solo quella tradizionale, ed è più che raro, per non dire impossibile, sentire una voce femminile alla radio. Anche i social network subiscono limitazioni. Si accetta Twitter, Whats App, ma si proibisce Facebook.

Le contraddizioni quindi non mancano, le percezioni dall’esterno all’interno sono diverse anni luce e dipingono un Paese che non è.

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