di Maurizio Sacchi
Andrea Berrini, scrittore, editore con Metropoli d’Asia e scopritore di talenti letterari asiatici, ha vissuto a Pechino e in altre capitali asiatiche, occupandosi di narrativa contemporanea. Il suo ultimo libro è Scrittori dalle Metropoli, Iacobelli editore. Di prossima uscita Le Metropoli dell’Asia, per EDT.
Sulla base della sua esperienza, come vede la Cina di oggi? Le pare che il Paese si stia avviando verso una società più aperta sul piano dei diritti civili e democratici? Quale aria si respira nel mondo degli intelettuali, scrittori ed artisti?
Andiamo male, e andrà sempre peggio. Tra gli scrittori che conosco, alcuni dei quali da noi pubblicati, c’è chi ha rinunciato a scrivere, come Zhu Wen e Han Han, o chi come il grande Acheng tiene da almeno due decenni i suoi manoscritti nel cassetto. Alcuni scrittori tentano pubblicazioni all’estero (Taiwan e Hong Kong fino a pochi mesi fa) pur di trovare lettori, ma il timore è di vedersi poi impedito il lavoro come curatori di mostre d’arte o autori per la tv. La parola chiave è autocensura, ci si ferma prima di compiere un passo sbagliato, ed è facile quindi farsi prendere la
Il tema della democrazia è stato messo in primo piano da parte dell’amministrazione Biden nei rapporti fra Cina e Stati uniti. Che pare ne vogliano fare il perno dei rapporti fra le due superpotenze. A quanto pare la Cina non ha nessuna intenzione di raccogliere la sfida, respingendo quelle che definisce come inteferenze indebite nei propri fatti interni. Come vede questo aspetto del confronto?
– Premesso che mi occupo di narrativa e di editoria, non di geopolitica, io spero che un giorno la Cina possa godere di una piena democrazia. La mia impressione è che tra le due superpotenze ci sia una guerra di propaganda serrata, a uso interno ed esterno. La Cina sta già cominciando a raccontare roba un po’ farlocca come l’abolizione della povertà, e venderà a sinistra la stretta su Evergrande, Alibaba e altri, ma quel che a me fa paura del regime è invece la facilità con cui si raggiungono livelli terribili di sfruttamento dei lavoratori dipendenti, a uso e consumo delle majors transnazionali, anche statunitensi. Questo noi, e per noi intendo l’Europa, dobbiamo criticarlo con forza, e porre limiti alle multinazionali di casa nostra. Per quanto riguarda i diritti umani non c’è motivo perché noi ci si debba appiattire sulla propaganda statunitense, quando viene da un paese che farebbe bene a risolvere i propri disastri sociali e l’oppressione delle proprie minoranze. Ma la critica serrata al regime cinese per ciò che accade nel Xinjiang e a Hong Kong è sacrosanta e dobbiamo farla nostra, così come l’attenzione all’espansionismo verso Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. La zampata su Hong Kong, tradendo il principio ‘un paese due sistemi’, non è stata adeguatamente avversata dalla UE, mentre invece ci sono segnali positivi nel senso della difesa dell’indipendenza di Taiwan. E’ indubbio che Taiwan e Hong Kong abbiano per secoli fatto parte della grande patria cinese, ma chi abita questi due paesi, anche i più anziani, ha ormai la libertà di espressione come principio fondante. Vi immaginate i più giovani rinunciarci in nome di un principio di sovranità nazionale che data a prima della metà del secolo scorso? A Taiwan e a Hong Kong si sceglie la democrazia: qui tutti i discorsi sulle integrità territoriali vanno necessariamente a parare.
Ora Hong Kong. Che notizie riceve, e che cosa può commentarci sulla situazione dell’ex colonia?
Non ho vissuto a Hong Kong ma la visitavo con regolarità da Pechino. Ho seguito il movimento per la democrazia dalla rivolta degli ombrelli nel 2014 fino ad oggi. Quel che accade ora è terribile. Le persone ormai hanno paura a esprimersi liberamente, sui social e perfino a livello individuale. Pechino non ha solo imposto regole che obliterano la speranza di avvicinarsi al suffragio universale, ma ha anche imposto leggi draconiane sulla libertà di parola: tuttisanno che ogni dichiarazione può essere bollata come anticinese o indipendentista, e in questo momento stanno
Ora un suo parere sull’ascesa della Cina sulla scena planetaria.
– La comparsa sulla scena del gigante cinese è un cambio di paradigma, l’Occidente non è più solo al centro della scena, ma viene sfidato da quello che un tempo era terzo mondo. Ed è un paese la cui storia è millenaria, un paese lontano che prima delle cannoniere e del colonialismo stava già alla nostra altezza, e questa sfida è un occasione di confronto, ci mette in discussione, cosa che a me pare fantastica. Quando laggiù ci diranno di essere capaci di costruire una società più giusta della nostra non potremo limitarci a difendere l’orgoglio individualista statunitense, uomini liberi magari con il mitra sotto il materasso in una società devastata. Dovremo invece ritrovare le radici del nostro stato sociale, la nostra vocazione socialdemocratica, in contrapposizione ai due imperi. Ma nel raccogliere la sfida non dobbiamo mai nascondere che la Cina è una dittatura, e io sono sconcertato da come questa parola venga dimenticata quando si parla del Paese di mezzo.
In copertina: Andrea Berrini. Nel testo il suo penultimo libro e, sotto, Xi Jinping