di Raffaele Crocco
Con gli occhi del Mondo puntati sulle elezioni statunitensi vinte da Donald Trump, il Risiko mondiale ha continuato la propria sanguinosa partita. Le infinite guerre del gioco continuano ed è sempre il Vicino Oriente, con Israele, a tener banco.
Le decine di migliaia di persone in strada, per protestare contro il licenziamento del ministro della Difesa Gallant, non hanno fermato Netanyahu. L’Alta Corte gli chiede conto delle ragioni del licenziamento, gli israeliani d’opposizione parlano di “follia di un premier incompetente”. Lui, intanto, scatena l’esercito contro tutto e tutti. L’assalto è stato contemporaneo in Libano, Gaza e Cisgiordania. Secondo quanto riferisce l’esercito israeliano, nella Striscia “mercoledì 6 novembre sono stati uccisi circa 50 terroristi a Jabalia”. I combattimenti sono arrivati anche a Beit Lahiya, espandendo così le operazioni militari nell’area. Per altro, i vertici israeliani parlano ormai chiaramente di “impossibile ritorno della popolazione palestinese nel Nord della Striscia di Gaza”.
In Libano gli attacchi aerei israeliani su circa 20 obiettivi nella regione di Baalbek e in altre aree a Nord del fiume Litani, avrebbero ucciso circa 60 uomini di Hezbollah e colpito decine di obiettivi militari. In Cisgiordania l’esercito israeliano ha assaltato con i bulldozer il campo profughi di Tulkarem. Gli scontri sono stati durissimi. I combattenti palestinesi avrebbero reagito, colpendo le forze israeliane con un ordigno esplosivo nel campo di Nur Shams.
Non c’è alcuna speranza di trattative, al momento e la guerra appare infinita. Esattamente come in Ucraina. L’esercito di Kiev è sempre più in difficoltà. A Kursk, il territorio russo invaso dall’Ucraina in estate, l’esercito russo sta guadagnando terreno. In settimana si sono registrati i primi scontri anche contro i soldati nordcoreani, schierati proprio in territorio russo. Nel Donetsk, l’avanzata degli uomini di Mosca pare inarrestabile. La pressione di forze di terra e aeree sta diventando insostenibile per l’esercito ucraino. Il presidente Zelensky chiede agli alleati europei e statunitensi un maggiore impegno. Ma la linea di rifornimenti potrebbe raffreddarsi, soprattutto con il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Analisti e politici ucraini hanno scritto sui social che “negli Stati Uniti ha vinto Putin” e le possibilità di vittoria in questa guerra – aggiungono – si sono affievolite.
D’altro canto, è certo che il ritorno al potere del miliardario statunitense porterà a nuovi equilibri e nuove svolte nel grande Risiko mondiale. L’isolazionismo che caratterizza l’azione politica di Trump modificherà gli equilibri. Difficile che Trump mantenga il livello di impegno militare in Ucraina, in termine di forniture, avuto con Biden. Trump vuole una soluzione con la Russia, anche perché la cosa che teme di più è che Russia e Cina continuino ad essere alleate così strette. Quindi, serve trovare una soluzione che riapra il dialogo con Mosca e tutto questo passa, probabilmente, per una futura neutralità di Kiev nello scacchiere europeo.
E’ la logica del “American first”, cavallo di battaglia di tutta la campagna elettorale. Dal punto di vista militare, le conseguenze saranno molte, anche per l’Europa e la Nato. E’ molto probabile che Trump chieda in modo definitivo che i Paesi europei arrivino ad investire il 2% del loro Pil in armamenti, per garantire il loro impegno all’autodifesa militare e come condizione per mantenere viva la Nato. Va ricordato che a Trump non interessa l’Unione Europea. Non gli piace soprattutto la vecchia Europa, quella dei Paesi occidentali così legati al mito dei diritti umani. Ama la nuova Europa degli autocrati e della democrazia monca: Ungheria, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca. Lì è più facile fare affari.
E il disimpegno militare a favore degli alleati sembra poter colpire anche il Pacifico. Trump ha accusato alleati tradizionali come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan di approfittare della protezione militare di Washington. Questa riluttanza di Trump a usare la potenza militare degli Stati Uniti per difendere i partner da un’aggressione ha messo in allarme tutti, ma soprattutto Taiwan, che sente il fiato di Pechino sul collo. In poche parole: i Paesi asiatici che contano su Washington per la loro difesa, tra cui Giappone e Corea del Sud, dovranno esporre le loro ragioni al nuovo Presidente. E dovranno essere convincenti. Altrimenti “America first” e fine dei giochi. Parola di Trump.