La guerra infinita del Sudan

Dopo la riconquista della capitale. Le tappe dell'ennesimo scontro armato in Africa

di Sara Cecchetti

La ripresa di Khartum, avvenuta la scorsa settimana, da parte dell’esercito sudanese costituisce un importante passaggio in una guerra che ha creato la più grande crisi alimentare attuale. Sebbene il conflitto sia ancora in corso, la riconquista della capitale sudanese costituisce un traguardo rilevante anche sotto il versante simbolico; infatti proprio da essa- due anni fa- è scoppiata la guerra che continua a dilaniare il Paese dell’Africa Nordorientale. In questo caso più che ragioni di contrasto etnico, da cui il territorio del Darfur è stato tristemente caratterizzato, si tratta di una vera e propria guerra di potere. Lo scontro, ufficialmente iniziato il 15 aprile 2023, affonda le sue radici almeno nel 2019 quando il dittatore sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir venne deposto tramite un colpo di Stato per mano di Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo. I due, all’epoca alleati, in una prima fase sembravano intenzionati a lavorare per un processo di democratizzazione; illusione che venne meno quando nel 2021- tramite un nuovo colpo di stato- nacque l’alleanza del Consiglio Sovrano.

A rompere definitivamente gli equilibri tra i due leader fu però l’ipotesi di una riforma militare che avrebbe integrato le Forze di supporto rapido (RSF) di Dagalo, più conosciuto come Hemedti, nell’esercito regolare sudanese. Secondo tale proposta la fusione sarebbe dovuta avvenire nell’arco di due anni, mentre Dagalo- intimidito dalla perdita di potere- avrebbe voluto allungare il processo nel corso di dieci anni. Le tensioni, arrivate al culmine, si tramutarono inevitabilmente in scontro aperto: Forze armate sudanesi (SAF) da un lato e Forze di supporto rapido (RSF) dall’altro. Sulla storia di quest’ultime è tuttavia necessaria una precisazione ulteriore: gli uomini guidati da Hemedti- all’epoca sotto il beneplacito dello stesso dittatore Omar Hasan Ahmad al-Bashir- provengo da quegli stessi janjaweed, macchiatesi del genocidio in Darfur (2003-2010). I cosiddetti “diavoli a cavallo”, uomini dalle discendenze nordafricane e arabe, furono spinti dallo stesso governo di Khartum a compiere un massacro su base etnica, che provocò un numero esorbitante di morti e sfollati.

Che nella storia del Sudan le violenze non si sarebbero fermate è facilmente comprensibile se si pensa al ruolo chiave che ricopre anche solo per posizione geografica e ricchezza del sottosuolo. Scontato è quindi che con il destino delle Forze di supporto rapido si leghino anche le ingerenze di potenze estere in Sudan, infatti gli uomini di Degalo- almeno dal 2017- sono stati affiancati dal gruppo Wagner, che probabilmente ha anche provveduto ad addestrarli. Non a caso la Russia, tramite quello era l’esercito di Evgenij Prigožin, ha estratto in Sudan un elevato quantitativo di oro. A ciò si aggiungono gli interessi che Mosca ha nel costruire una base militare sul Mar Rosso, costruzione di cui il grande impatto geostrategico sarebbe evidente.

Mosca non è l’unica capitale guardare con attenzione alla crisi sudanese, basti pensare agli interessi che sul territorio hanno anche altri potenze come Turchia ed Emirati Arabi Uniti. Nel mentre che lo stato africano fa gola ad altri leader mondiali, la sua popolazione è ridotta alla fame, già nel giugno 2024 il Famine Review Committee aveva avvertito che senza un intervento deciso molte zone del Paese avrebbero rischiato la carestia. Intervento che ancora oggi continua a mancare e mentre le Forze di supporto rapido, dopo la perdita della capitale, si concentrano sulle zone del Darfur sulle quali mantengono il controllo, la popolazione rimane ancora vittima del conflitto.

in copertina ponte sul Nilo nella capitale wikipedia opera propria (Arwa51o)

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