Mentre si avvicina la data in cui sapremo il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti, il Mondo intero si interroga su quale sarà la politica estera che ne seguirà, e, tema scottante, quali diverse strategie militari si prospettano in caso di vittoria di Donald Trump o di Kamala Harris. Al di là dei proclami elettorali, cerchiamo di analizzare quali siano le logiche che ispirano l’azione dei due contendenti
di Maurizio Sacchi
Innanzitutto, una tradizione che viene da lontano divide repubblicani e democratici. I primi, i seguaci del Grand old party, hanno da due secoli propugnato una visione isolazionista del loro Paese, seguendo in un certo modo la cosiddetta “dottrina Monroe”, dal nome del quinto Presidente degli Usa. Dettata con l’intento di tenere fuori dalle Americhe le ingerenze delle potenze europee, agli inizi del’900 fu reinterpretata da intellettuali e legislatori in chiave multilaterale e anti-interventista nelle guerre fuori dal Nuovo mondo. A questa visione, che ha un’apparenza
Per i democratici, la tradizione li vede orientati, specie dal ‘900, a difendere il ruolo, vero o immaginato, degli Usa come paladini e difensori della democrazia a livello globale. E quindi portati a sostenere o partecipare quei conflitti nei quali individuano uno o più dei contendenti come “amici della democrazia”. Fu F. D. Roosevelt, democratico, a decidere di entrare nella Seconda guerra mondiale, e J. F. Kennedy a inviare le prime truppe americane in Vietnam. Queste linee guida hanno visto molte eccezioni e casi ambigui; ma tuttora rappresentano uno strumento utile per tentare di prevedere quali sorti toccheranno ai Paesi del mondo nei due scenari alternativi che si aprono fra pochi giorni.
Per quanto riguarda Trump, negli ultimi giorni di campagna ha detto a chiare lettere che Il “nemico interno è più pericoloso della Cina, della Russia e di tutti gli altri Paesi”. Nel marzo 2023, Trump ha dichiarato che sono i politici – suoi avversari- la minaccia più grande per gli Stati uniti, non la Cina e la Russia. Questo sembra in linea con la dottrina isolazionista repubblicana, ma non è certo una politica di orientamento pacifista. Al contrario, da parte degli
E Kamala Harris? A una domanda specifica, in ottobre ha risposto che è l’Iran la minaccia più grande per gli Stati Uniti. “Quello che dobbiamo fare [è] assicurarci che l’Iran non raggiunga mai la capacità di essere una potenza nucleare. Questa è una delle mie massime priorità”. Per quanto riguarda Taiwan, nel 2022, dopo che Biden ha affermato di sostenere l’invio di truppe di fronte a un’invasione cinese, Harris ha affermato: “Continueremo a
Sul tema più caldo, la guerra di Gaza, Harris, al momento di accettare la nomination, ha dichiarato: “Voglio essere chiara, difenderò sempre il diritto di Israele a difendersi e mi assicurerò sempre che Israele ne abbia la capacità ”, in chiaro riferimento alle forniture di armi a Tel Aviv, anche se su questo punto ha mantenuto una certa ambiguità, dichiarandosi solidale con “le sofferenze dei palestinesi”, e lasciando in sospeso la questione su quali armi siano da intendersi come difensive. Sullo stesso tema, Trump ha rimproverato Biden per aver minacciato di non inviare più alcune armi offensive degli Stati Uniti a Israele, ma non ha detto in modo esplicito quale sarebbe la sua politica nei confronti della guerra di Gaza, o della questione palestinese, limitandosi a affermazioni tanto drastiche quanto generiche : ”Quando il Presidente Trump tornerà nello Studio Ovale, Israele sarà di nuovo protetto, l’Iran sarà ridotto in miseria, i terroristi saranno braccati e lo spargimento di sangue finirà”, è stata la risposta a una domanda diretta sul tema dell’addetto stampa della campagna trumpiana.
E l’Europa? Benché entrambi i candidati sostengano a parole la causa dell’Ucraina, da varie fonti si capisce
nell’immagine da Wikipedia, la portaerei Coral Sea