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La notte del Venezuela

di Maurizio Sacchi

Con il riconoscimento da parte degli Stati uniti di Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea nazionale dal 5 gennaio, come legittimo presidente del Venezuela, e il disconoscimento dichiarato della legittimità del governo di Maduro da parte non solo di Washington la crisi venezuelana si è al tempo stesso internazionalizzata ed aggravata. Sul piano internazionale, per ora non c’è unanimità nel riconoscimento di Guaidò: solo i Paesi dell’ America latina hanno seguito l’esempio americano, con la prevista eccezione della Bolivia, e quella, vissuta con fastidio, del Messico del nuovo presidente Obrador. Quest’ultimo di fatto ha assunto una posizione simile a quella dell’Unione europea, che indica in nuove elezioni, sotto supervisione internazionale, la via d’uscita per la crisi venezuelana. Una posizione che Maduro ritiene un ultimatum e che ha respinto al mittente con fermezza. Il presidente venezuelano inoltre  sostiene che gli Stati Uniti hanno orchestrato un colpo di stato per rimuoverlo dal timone della nazione.

Maduro (a sn) versus Gaidò

La presa di posizione di Cina, Russia e Turchia ha per altro già reso  chiaro che una semplice destituzione di Maduro non sarebbe accettabile. E sul fronte interno, oltre al sostegno delle masse di diseredati che in lui tuttora si riconoscono, Maduro e il suo governo possono contare sull’appoggio delle forze millitari   cubane presenti sul territorio. Se uno scontro le coinvolgesse, da guerra civile si passerebbe a un inizio di guerra tradizionale, con due fronti opposti a sostenere i belligeranti.

La partita militare

Quanto all’esercito venezuelano è apparentemente schierato con Maduro; il giorno prima della manifestazione convocata da Guaidò in Plaza Bolivar de Chacao a Caracas, di cui rendiamo conto qui sotto, tutto l’alto comando delle Forze armate venezuelane ha confermato, in una dichiarazione pubblica alla stampa, il proprio appoggio a Maduro. Ma crepe ve ne devono essere come si vede in una intervista del 25 gennaio de El Comercio di Lima, Perù, significativamente intitolata :” Perchè è così difficile destituire Maduro con la forza”. Gli intervistati sono due militari venezuelani, golpisti per loro stessa ammissione. Uno di essi era appunto in un carcere militare per aver partecipato a un pronunciamento. E’ stato poi assegnato a una guarnigione vicino alla frontiera con la Colombia, dove il suo superiore stesso lo ha invitato a fuggire.

Generali a pugno chiuso. Ma Maduro può contarci veramente?

Racconta come la maggioranza dei militari sia insoddisfatta del regime di Maduro, ma che l’efficacia dei servizi di intelligence venezuelani ferma ogni tentativo di sradicarlo e rovesciarlo. “All’interno delle forze armate venezuelane e del governo c’è una forza d’intelligence che ha molta esperienza: il G2 cubano, ha 50 anni di esperienza nello spionaggio. Il G2 – dice l’intervistato – ha frustrato diversi tentativi di colpo di stato, come quello che volevamo portare avanti: quwello di Óscar Pérez, della brigata Paramacay, il Blue Strike: potremmo parlare per ore di quanti tentativi di colpo di stato sono stati frustrati a causa loro”.

L’esercito venezuelano conta su 375.000 effettivi e 1200 generali, come fa notare su El Tiempo di Bogotà Valentina Lares Martiz, molti di più della Colombia, che ha i due fronti interni dllla guerriglia e del narcotraffico. La cupola dei generali poi controlla , attraverso aziende di stato, “il 95%” del traffico degli alimentari”. A tutto questo bisogna aggiungere i cubani. Secondo CubaNet, un blog anticastrista di cubani esiliati : “Nella principale base militare di Caracas, a Fort Tiuna, staziona un distaccamento di 4.500 soldati cubani distribuiti in 9 battaglioni. Questo, oltre alle altre truppe cubane situate in diversi punti strategici in tutto il Venezuela. Il numero stimato di soldati dell’esercito cubano è di 20.000 uomini,  a cui dobbiamo aggiungere una potenziale riserva mascherata da “tecnici” nei diversi rami (atleti, ingegneri, medici, ecc.), che sono disponibili per essere in caso di necessità. chiamati al servizio attivo (…) alcuni stimano che la cifra raggiunga i 100.000.”

Fatta la tara a opinioni che appartengono all’opposizione, se Maduro può contare sull’esercito nazionale (salvo defezioni) e quello cubano, c’è anche un altro esercito su cui può far affidamento: quello dei diseredati. La schiera di quanti cioè restano fedeli alla rivoluzione bolivariana e a Maduro che ne rappresenta il proseguimento ideale. Ma la situazione è di altissima tensione e la battaglia sul consenso è sempre più dura.

Speculazioni sulla crisi

Mentre la situazione di scacco internazionale e  il prezzo altissimo di eventuali atti di forza, fanno pensare che un tavolo di pace presieduto dall’ONU sia l’unica soluzione possibile, si cominciano già a fare ipotesi su un piano di ricostruzione, che accende anche gli appetiti degli investitori internazionali sulle risorse sottoutilizzate del Venezuela. Investitori potenziali che preparano piani di sviluppo per riportare il Venezuela alla “bonanza” dei tempi d’oro del petrolio. Ma i 14 chilometri di bidonville che collegano Caracas a La Guajira, sulla costa, sono sorti proprio mentre la bonanza dava il suo massimo, e la città si riempiva di centri commerciali, autostrade e auto americane. La massa di diseredati lasciati al margine da un modello di puro consumo , e che mai era stata oggetto delle attenzioni della politica venezuelana, è stata la base che ha portato al potere Chavez, e che tuttora, in gran parte, sostiene Maduro.

Se lo scontro militare sembra bloccato dagli stessi equilibri in campo, lo scontro diplomatico, e economico, si accentua. Oltre alle diverse formule e condizioni poste dai vari attori internazionali, in continuo mutamento, vi è l’aspetto commerciale: gli Stati Uniti acquistano dal Venezuela un terzo della sua produzione, oggi alquanto depressa, di 1,4 milioni di barili al giorno, fonte del 96% della valuta estera del Paese. La società  di consulenza finanziaria Capital Economics dice al riguardo che, secondo gli analisti, Trump potrebbe considerare di congelare i beni del Venezuela e di imporre sanzioni petrolifere. “Senza il controllo sulle sue finanze, la posizione di Maduro sarebbe seriamente compromessa”. Il peggioramento della crisi politica si verifica per altro  in mezzo alla peggiore crisi economica nella storia moderna del Venezuela, con la sua compagnia petrolifera dichiarata in default e un’iperinflazione che le stime dell’FMI raggiungeranno quest’anno il 10.000.000%.

Nell’immagine di copertina la capitale Caracas di notte

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