di Raffaele Crocco da Rhino Camp (Uganda)
Domenico Fornara guarda la piazza sterrata che si riempie di
Sono proprio un paio di migliaia di profughi Sud sudanesi quelli che Fornara sta guardando prendere posto nel piazzale, davanti a una delle scuole di Rhino Camp. Sono parte dei 120mila che ancora popolano il campo di rifugiati. La scuola è stata costruita da Acav, una ong italiana. Nel campo, lavora garantendo parte degli approvvigionamenti di acqua, formazione per gli agricoltori e organizzando corsi professionali per ragazze con particolari vulnerabilità.
Gli arrivi sono rallentati. A Busia, alla frontiera, dove c’è il centro di prima accoglienza, arrivano ancora gruppi piccoli, quasi ogni notte. “In prevalenza sono donne e bambini – dice James, capo del distretto – e questo ci preoccupa. Vuol dire che gli uomini sono a combattere”. Parole che contraddicono l’ottimismo di Fornara. Da settimane si parla di una ripresa degli scontri, anche se di bassa intensità. Alcuni giornali hanno segnalato anche movimenti dell’esercito ugandese. Si starebbe ammassando alla frontiera, pronto ad occupare alcuni territori del Sudan del Sud per “pacificarle”.
“Non è esattamente così – spiega Fornara – le cose sono diverse. Il presidente ugandese, Museveni, è stato protagonista del processo di pace. Ha dichiarato di essere disponibile, dietro richiesta del governo di Giuba e su mandato internazionale, ad intervenire con l’esercito per mantenere la pace. Non c’è alcuna intenzione di strappare terra alla repubblica del Sudan del Sud”. Resta però il problema dei rifugiati. Calati gli arrivi, cibo, acqua e assistenza medica sono temi da risolvere. L’Uganda, 35 milioni di abitanti con un tasso di natalità fra i più alti del mondo, rischia di non farcela. “Anche perché – dice Fornara – molti non se ne andranno più. Qui c’è gente che arriva, in fuga dalla guerra, per la quarta, quinta volta. Non ha più alcuna speranza di una vita normale nel proprio Paese. E allora sceglie di restare, di aprire una piccola attività, un negozio e diventare ugandese. È una buona cosa, dal punto di vista dell’integrazione, ma resta difficile da gestire. Qui il futuro si comincia a vedere, l’Uganda sta crescendo, ma la stabilità resta appesa a tanti fili sottili. Bisogna stare attenti e non spezzarli”.