di Bianca Bogi dallo Zambia*
Maria, soprannominata Mama, ha 19 anni e vive a Mansa, in Zambia. Fin dall’infanzia è affetta da un ritardo mentale e un disturbo psichiatrico mai diagnosticati né trattati adeguatamente, che influenzano il suo comportamento. Spesso salta la scuola, fugge di casa e cerca compagnia tra i ragazzi; infatti, a 17 anni è diventata madre. Negli ultimi anni la sua situazione è peggiorata, alternando momenti di agitazione e rabbia a periodi di chiusura e apatia. A Mansa, come in tutta la provincia di Luapula, il reparto psichiatrico non consente una diagnosi precisa né un trattamento adeguato. L’unico medico che si occupa di salute mentale non è specializzato in psichiatria e non ci sono psicologi. Dopo diversi anni e un trasferimento a Ndola, Mama ha ricevuto una diagnosi, seppur parzialmente errata, e ha iniziato una terapia farmacologica. Ora è tornata a Mansa, dove la continuità delle cure – tra terapie, controlli e supporto psicologico – è tutt’altro che garantita. Senza un sistema di assistenza strutturato, il rischio di un nuovo peggioramento è alto.
L’accesso ai servizi di salute mentale in Zambia è ostacolato da numerose difficoltà. Una di queste è la mancanza di fondi: meno dell’1% del budget sanitario è destinato alla salute mentale, il che rende estremamente difficile finanziare strutture e servizi adeguati, compromettendo l’efficacia del sistema (Munakampe, 2020). Un’altra sfida significativa è la carenza di personale qualificato, con solo 10 psichiatri e 15 psicologi in tutto il paese, una situazione che si aggrava ulteriormente dalla concentrazione dei professionisti nelle aree urbane, lasciando vasti territori rurali privi di assistenza specializzata (World Health Organization, 2020). Le strutture sanitarie non sono in grado di rispondere adeguatamente alle necessità della popolazione: il paese ha un solo ospedale psichiatrico, situato a Lusaka, che segue un modello obsoleto di oltre 50 anni fa, con strumenti e posti letto insufficienti. Nel resto dello Zambia, esistono solo piccoli reparti nelle città principali, con risorse estremamente limitate (Ngungu & Beezhold, 2009). Infine, lo stigma sociale legato ai disturbi mentali rappresenta un ulteriore ostacolo: molte famiglie evitano di chiedere aiuto per timore della discriminazione o per scarsa conoscenza della malattia. Questo porta spesso all’abbandono dei pazienti, lasciati per strada o trascurati dai caregiver, scoraggiando al contempo il reclutamento di nuovi specialisti (The Borgen Project, 2022).
Un ulteriore problema è rappresentato da una normativa obsoleta: il Paese continua ad applicare il Mental Disorders Act del 1951, un testo che definisce i pazienti con termini arcaici e offensivi. Nonostante siano stati fatti alcuni tentativi di riforma dal 2006, la mancanza di specialisti ha rallentato i progressi legislativi. Tuttavia, nel 2019 è stato approvato il Mental Health Act, che punta a tutelare i diritti delle persone con disturbi mentali (The Borgen Project, 2022).
A Mansa, queste difficoltà si aggravano per la mancanza di un sistema strutturato di supporto. Le famiglie, prive delle competenze e dell’assistenza necessarie, spesso non riescono a gestire la situazione. La cultura locale gioca un ruolo centrale nella percezione e nell’approccio alla salute mentale. Molti zambiani attribuiscono i disturbi psichici a cause soprannaturali, come stregoneria, possessione demoniaca o rapporti sessuali considerati impuri. Queste credenze influenzano profondamente la ricerca di cure, spingendo molte famiglie a rivolgersi ai guaritori tradizionali anziché ai servizi sanitari formali.
Osservazioni recenti hanno dimostrato che formare propriamente gli operatori sanitari e sostenere la comunità zambiana sta facendo la differenza nella salute mentale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce che un approccio basato sul “community-based support” possa contribuire a ridurre lo stigma e favorire l’inclusione sociale. Anche il Mental Health and Poverty Project, attivo in Africa subsahariana, sottolinea l’efficacia di iniziative che coinvolgono volontari e leader locali. A Mansa, la diocesi e alcuni volontari stanno progettando un centro per la salute mentale, che offrirà spazi per incontri, attività ricreative e sostegno pratico. Iniziative come questa, radicate nel contesto locale e supportate dalla comunità, potrebbero contribuire a garantire un impatto duraturo.
Il cammino tuttavia è ancora lungo. Come Mama, molti altri vivono situazioni simili, senza accesso a diagnosi adeguate e cure continuative. La salute mentale non dovrebbe essere considerata un lusso, ma un diritto universale. È fondamentale che il governo, le ONG e la comunità internazionale collaborino, investendo in un sistema di salute mentale più solido e inclusivo, per migliorare le condizioni di vita di chi, ancora oggi in Zambia, rimane invisibile.
* Questo articolo è parte di una collaborazione didattico-giornalistica tra Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Gli autori sono giovani tra i 18 e i 28 anni che hanno svolto servizio civile all’estero come Caschi Bianchi nei progetti promossi dall’Ufficio Obiezione di Coscienza e Pace di APGXXIII