di Edvad Cucek
Ogni 16 maggio, e così quest’anno, si celebrano le messe per le vittime della cosiddetta “via crucis di Bleiburg”. Si tratta di una vicenda legata ai soldati delle formazioni militari collaborazioniste del regime nazifascista della Croazia, Bosnia Erzegovina, Slovenia e Serbia e a un certo numero dei civili che li hanno seguiti nella loro ritirata verso l’Austria. Verso il Paese in cui, a seguito di un accordo tenutosi a Roma tra gli ufficiali degli Ustascia (forze militari collaborazioniste croate) e gli ufficiali inglesi, accordo in realtà mai raggiunto, loro, in fuga dall’avanzata dei partigiani di Tito dovevano arrendersi alle forze britanniche.
Impossibilitati a organizzare il solito raduno come tradizionalmente avveniva sulla Piana di Loibach nei pressi di Bleiburg (Carinzia-Austria), causa Covid-19, per quest’anno gli organizzatori hanno preparato una sorpresa. Le messe per le vittime, innocenti o meno, sono state celebrate nelle cattedrali di Zagabria dal Cardinale croato Josip Bozanić e di Sarajevo dal suo collega Cardinale bosniaco Vinko Puljić. Causa emergenza e le misure contro gli assembramenti nella cattedrale del “Cuore di Gesù” a Sarajevo erano presenti soltanto gli invitati del mondo politico e alcuni organizzatori. Circa 20 persone. Le autorità locali alla fine hanno deciso di non ostacolare in nessun modo il rito religioso il quale sarebbe diritto di ogni cittadino bosniaco erzegovese. Anche in questo caso come sempre l’obiettivo ha causato un fiume di polemiche a tal punto da essere svolto adottando le massime misure di sicurezza intorno alla cattedrale. C’è infatti chi vi vede un’occasione di revisionismo filofascista.
Dal corteo in movimento, in realtà organizzato invece per ricordare le vittime del regime degli Ustascia croati – che a Sarajevo sono responsabili di circa 10.000 morti – si sentivano gli slogan antifascisti e le canzoni di stessa tematica. Tra i vari canti con melodie che volavano sopra la città che voleva opporsi, “Bella Ciao” era una delle più ripetute. Gli occhi dei grandi gironali questo sabato guardavano meno a Zagabria e più a Sarajevo. Mentre a Zagabria la reazione delle associazioni dei combattenti e partigiani jugoslavi era tiepida, Sarajevo ha risposto. I grandi panelli con le fotografie dei 55 antifascisti impiccati nel marzo del 1945 in centro di Sarajevo, quando era già chiaro che la guerra stava finendo e chi ne sarebbe uscito vincitore – in questi giorni esposti in tutta la città – hanno fatto il giro del mondo. Pochi dei manifestanti ricordavano che nel 1995, appena fermata la guerra, proprio Sarajevo vide una commemorazione per le stesse vittime celebrata dallo stesso clero cattolico, quello islamico e da tutta la classe dirigente che all’epoca governava la città. Il tutto era molto solenne. Erano altri tempi quelli. Sarajevo oggi è diversa.
Nell’immagine di copertina uno scatto di foto di Marijin Dvor