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Le regole del Risiko mondiale. Il punto

di Raffaele Crocco

Il Risiko mondiale è inflessibile. Richiede vi siano schieramenti, non prevede pericolose neutralità, Stati terzi non allineati. Prevede anche che le opinioni pubbliche dei Paesi siano, ognuna, addestrate. Così, la “distrazione di massa” rispetto all’informazione è lo strumento comune, usato da tutti.

Prendete quanto è stato raccontato per l’incontro celebrato alla fine della scorsa settimana dalle parti di Lucerna, in Svizzera. La conferenza che ha riunito 96 Paesi del Mondo – senza Russia e Cina, ricordiamolo – per cercare un piano di pace per l’Ucraina, è stata di fatto un fallimento. Si è chiuso con un documento non firmato, e questo lo abbiamo saputo, da 12 Paesi che fanno parte di quello che chiamiamo “Sud del Mondo”, fra cui Brasile, India, Sud Africa, Giordania e Arabia Saudita. In qualche modo non è sorprendente: sono Stati legati al Brics, il club delle economie emergenti legate a Cina e Russia che si contrappone al dominio del G7 targato Stati Uniti. Quello che non ci hanno raccontato, se non in modo minimale e marginale, è che il fallimento della conferenza sta nel fatto che il documento finale non la ha sottoscritto – ad esempio – nemmeno il Vaticano, unico neutrale vero nella guerra specifica fra Russia e Ucraina e nello scontro mondiale fra “filoamericani” e “antagonisti”. Non c’erano le condizioni. Inoltre, nel documento e nell’azione esercitata nelle giornate di colloqui, si è perso completamente il senso dell’esistenza dell’Onu, completamente messo ai margini dagli interlocutori arrivati in Svizzera e dalla stampa internazionale.

Della marginalità delle Nazioni Unite siamo ormai consapevoli, ma vederne tracciata la fine in maniera così sfacciata è preoccupante. Il documento finale prodotto dalla conferenza di Pace è di rara inutilità, almeno nei termini utili per trovare una soluzione alla guerra. Ribadisce, con parole diverse, quanto definito nel G7 convocato in Italia qualche giorno prima: l’appoggio all’Ucraina da parte dei “filoamericani” sarà ad oltranza e con una finalità che va oltre la pura e legittima difesa del territorio. L’obiettivo è alzare l’asticella del confronto, ricacciare la Russia in un angolo della storioa e disinnescarne ogni potenziale presenza in Europa.

Il documento, quindi, non crea i presupposti per riavvolgere il nastro in Ucraina, facendo tornare indietro Mosca e rendendo credibili gli impegni che Kiev aveva preso con il protocollo di Minsk e non ha mai rispettato. Quindi? L’idea è che dopo questa conferenza e dopo il G7 non accadrà nulla di diverso da quanto sta già accadendo: si continuerà a combattere, cercando la vittoria militare utile a fare retrocedere il nemico. Un bagno di sangue infinito. I militari uccisi – i dati ufficiali non esistono – ad oggi potrebbero essere complessivamente, sommando i caduti dei due eserciti, più di 200mila. I feriti sarebbero 300-350mila. A questi vanno aggiunti i civili, costretti, quando non muoiono, a fuggire dalle loro case o a vivere inverni al freddo e con poco cibo.

Una strage che prosegue altrove: a Gaza, dove il piano di Pace elaborato dagli Stati Uniti sembra piacere a tutti, ma non viene approvato e applicato da nessuno. Nel vuoto della diplomazia internazionale, i palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania continua a morire e la loro terra continua ad esser preda degli israeliani. E’ interessante come il capo del governo israeliano, Netanyahu, abbia ricordato al Mondo che quella in corso a Gaza “è una guerra di civiltà, che difende anche l’Unione Europea da Hamas e dall’Iran”. Sono le medesime parole che il presidente Zalensky usa, parlando del “pericolo russo”, per convincere gli europei a dargli più armi contro la Russia.

E’ uno scontro ufficiale fra blocchi, quindi, quello che sta andando in scena, raccontato in modo semplificato con la formula dei “buoni” e dei “cattivi”, per giustificare scelte politiche precise. Ad esempio, la corsa al riarmo del Paesi europei. Si stima che nel 2024, 23 Paesi che fanno parte della Nato raggiungeranno il 2% del Pil in difesa, confermando il netto aumento della spesa militare tra i Paesi europei. Stando al rapporto, chi resta ancora sotto la soglia del 2% sono solo otto Paesi: ovvero Croazia (1,81%), Portogallo (1,55%), Italia (1,49%), Canada (1,37%), Belgio (1,30%), Lussemburgo (1,29%), Slovenia (1,29%) e Spagna (1,28%). Per tutti gli altri, è corsa alle armi di tutti i tipi. Sono scelte precise, fatte da governi democratici. Governi che sanno usare bene lo strumento della “distrazione di massa” nell’informazione.

 

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