Dal nostro inviato nel Sudest asiatico Emanuele Giordana
Nong Khiaw (Nord Laos) – Da Nong Khiaw, attualmente capoluogo di distretto, con un’ora e mezzo di barca si raggiunge Muang Ngoi, risalendo il fiume Ou, un affluente del Mekong. Il paesaggio è incredibile e il fiume si snoda pigramente tra picchi, foreste e rari villaggetti adagiati su sponde sabbiose animate da bufali d’acqua o dai colori dei giardini. Oggi Muang Ngoi, che a breve sarà raggiungibile con una strada asfaltata, è un villaggetto la cui attrazione turistica sono le decine di guesthouse per tutti i prezzi affacciate sull’Ou che hanno rovinato l’immagine bucolica del fiume ma probabilmente riempito le tasche di molti locali che avevano visto distrutto il loro centro – durante la cosiddetta “Seconda guerra d’Indocina” – dai bombardamenti che non risparmiarono i templi per il cui la cittadina, allora capoluogo, era famosa. C’è una bomba lunga quasi due metri all’ingresso di un ristorante (cosa molto comune in questa provincia), cui sono appoggiate sul dorso alcune decine di bombe più piccole. Il ricordo del conflitto è affidato a una data stampigliata sull’ordigno: 1967-1972.
In realtà la guerra americana in Laos – la prima guerra
Passeggiare senza meta a Nong Kiaw è altamente sconsigliato. Poco distante dalla cittadina ci si può inerpicare tra le rocce di Pha Kuang dove il governo ha messo in sicurezza un enorme sito che fungeva da rifugio per la popolazione e dove si nascondeva la contraerea: “C’era anche un ospedale”, dice una giovane guida di origine vietnamita che segnala col dito un grande spazio nella grotta più vasta. Lui, che avrà adesso 17 anni, a quell’epoca non era nato: “Ma nella mia famiglia ci sono diversi mutilati”. Molti morirono sotto le bombe, tanti – ancora oggi – pagano le conseguenze di quella tremenda eredità. “Le bombe – raccontano al villaggio – le lanciavano di notte anche nel fiume. Ma alla mattina i contadini le ripescavano senza farle esplodere”. Non tutte però. Chissà fin dove il fiume Ou le ha portate.
La sede del Mines Advisory Group a Vientiane è un buon posto dove prendere appunti. Ci riceve una giovane signora con un largo sorriso in una saletta dove sono esposte soprattutto cluster bomb: “Il problema del Laos non sono le mine antiuomo – dice – ma le cluster bomb e gli Uxo, gli ordigni inesplosi in genere”. Si stima che il 25% dei villaggi laotiani ne sia ancora contaminato. Regali americani? chiediamo retoricamente. Stampa un altro sorriso sul viso. Ma è di circostanza. Annuisce: “Si”. Mag è finanziata soprattutto da Norvegia e Stati Uniti. Il minimo, verrebbe da dire nel caso di questi ultimi. Del resto Mag non nasconde come andarono le cose: tra il 1964 e il 1973 furono sganciati due milioni di tonnellate di bombe su un Paese grande due terzi dell’Italia e, attualmente, con poco più di sei milioni di abitanti: 28 per kmq. Questo ne ha fatto il Paese col maggior numero di bombe procapite del pianeta. Il 30% però non sono esplose. Tra queste tonnellate di bombe ce ne sono di piccolissime ma micidiali: le cluster.
Sono bombe piccole che ne contengono altre più piccole che si spargono sul terreno attorno all’ordigno madre. 80 milioni di questi residuati micidiali sono ancora lì ad aspettare. La bonifica è pesante. A Mag ci sono delle squadre di sole donne che fanno il
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