L’occupazione passa anche dalle demolizioni

Passeggiata a Silwan (Gerusalemme Est) con Sarit Michaeli di B’Tselem

di Giacomo Cioni da Gerusalemme

“Tutti i settori del Governo israeliano, sia il governo centrale sia la municipalità di Gerusalemme, lavorano insieme per appropriarsi del maggior numero di terreni e proprietà dei residenti palestinesi della Gerusalemme Est occupata”. Ce lo racconta Sarit Michaeli, International Outreach Director di B’ Tselem, Centro di Informazione Israeliano per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati. B’Tselem (dall’ebraico”A immagine di Dio”), è una organizzazione senza scopo di lucro, con sede a Gerusalemme, i cui obiettivi dichiarati sono documentare le violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati da Israele, combattere qualsiasi negazione dell’esistenza di tali violazioni e aiutare a creare una cultura dei diritti umani in questo Paese.

foto di Giacomo Cioni

La nostra prima tappa a Gerusalemme ha riguardato la città vecchia, con i suoi piccoli, grandi screzi che si sviluppano soprattutto negli ultimi decenni. Ma a subire le conseguenze della politica di occupazione israeliana è tutta Gerusalemme Est, teatro di sfratti forzati, demolizioni di case e attacchi mirati alla popolazione palestinese. Le autorità israeliane hanno intensificato le operazioni di demolizione delle abitazioni palestinesi con la motivazione ufficiale della mancanza di permessi edilizi, che vengono però sistematicamente negati alla popolazione araba della città. Nel frattempo, gli insediamenti israeliani continuano a espandersi, creando una pressione crescente sulla comunità palestinese.

Ci affidiamo per una nuova passeggiata nel quartiere di
Silwan, a Sarit Michaeli. Quello di Sarit è un volto conosciuto a Gerusalemme, anche fra le forze dell’ordine locali. È spesso ospite di tv internazionali, viaggia molto per parlare della sua organizzazione. È una donna che non ha paura a far emergere il suo nome nella lotta mediatica e comunicativa alla oppressione israeliana.

Nel 2013 fu ferita dal fuoco della polizia di frontiera israeliana durante una protesta in Cisgiordania, un proiettile di gomma sparato a distanza ravvicinata, durante la protesta settimanale di Nabi Saleh, la colpì a una gamba. Ma al di là di quel vecchio episodio Sarit continua la sua opera di advocacy. Con lei scendiamo dalla Città Vecchia in passeggiata verso Silwan, dove ci mostra che le demolizioni sono diventate un’arma di repressione.

Nel 2024 sono state 181, l’anno precedente 140, in media si tratta di circa 120 demolizioni l’anno, cioè di circa 600 persone che ogni 12 mesi vengono buttate fuori delle loro case. Come vengono giustificate o legittimate queste demolizioni? Va detto che per quanto Israele nel 1980 abbia proceduto all’annessione di Gerusalemme Est (malgrado la condanna dell’Onu con la risoluzione 478/80, ndr), rimane il fatto che si tratti pur sempre di un territorio occupato illegalmente dal 1967. Dunque va da sé che i piani regolatori approvati dal Governo di Benjamin Netanyahu non dovrebbero avere efficacia su questo territorio. Accade che quando gli abitanti palestinesi chiedono un permesso di edificazione molto raramente viene concesso, e comunque l’attesa può richiedere svariati anni. Ciò li costringe in alcuni casi a costruire senza permesso, pur nel rispetto delle volumetrie e degli stili edilizi contigui. Ovviamente, di fronte a costruzioni abusive, i tribunali israeliani hanno vita facile nell’emettere gli ordini di demolizione. Si registrano alcune proteste dei deputati dei partiti arabi alla Knesset, che però rimangono inascoltate. A queste si aggiungono le campagne di denuncia che le organizzazioni israeliane e palestinesi per il rispetto dei diritti umani, come B’Tselem, conducono da anni. Lo scorso anno la Corte di Giustizia internazionale, condannando le modalità dell’occupazione militare israeliana, ha incluso anche la pratica delle demolizioni tra quelle da considerare discriminatorie e illegali.

foto di Giacomo Cioni

Di Sarit Michaeli, ci racconta tutto mentre camminiamo, fra una sosta e l’altra per osservare le demolizioni e le condizioni del quartiere, davvero a poche centinaia di metri dal Muro del Pianto. “Israele utilizza – prosegue Michaeli – tutti gli strumenti amministrativi e legali a loro disposizione. Inoltre, limitano quasi tutto lo sviluppo palestinese a Gerusalemme Est, intendo dire che ai palestinesi non viene data alcuna possibilità legale di costruire case, il che ha creato una vasta realtà di costruzioni non autorizzate, che porta le autorità a demolire molte case o a costringere le persone a demolire le proprie case”. Questo avviene perché i cittadini palestinesi, una volta costretti a distruggere gli edifici, preferiscono farlo in autonomia per non pagare cifre spropositate poi richieste dal governo nel caso vengano utilizzati i mezzi governativi.

foto di Giacomo Cioni

“In alcuni quartieri di Gerusalemme Est – va avanti Sarit Michaeli –, le associazioni di coloni, con il pieno sostegno del governo, ricorrono a cause giudiziarie per sfrattare le famiglie palestinesi dalle loro case e portare i coloni ebrei a viverci. Questo avviene sulla base della legge israeliana, che è discriminatoria e lo permette. Silwan è uno di questi luoghi. I coloni stanno usando i tribunali israeliani per sfrattare lentamente i residenti palestinesi da un’area chiamata Battan al-Hawa, e si prevede che ciò riguarderà 90 famiglie, circa 700 persone. Ci sono molti altri casi, ad esempio quello di un’area chiamata al-Bustan dove il Comune intende demolire altre 90 case, per costruire un parco ricreativo ad uso principalmente degli israeliani”.

La conclusione di Sarit guardano lontano nel tempo: “Tutto questo – demolizioni di case, sfratti, acquisizione di proprietà da parte dei coloni – fa parte di una politica governativa a lungo termine, che non è iniziata con l’attuale governo, ma è progressivamente peggiorata, perché in passato gli Stati Uniti, e persino l’Unione Europea, erano disposti a esercitare una certa pressione diplomatica su Israele per chiedere che tutto questo fosse fermato o rallentato. Ora, con l’amministrazione Trump, che dà il via libera a qualsiasi violazione israeliana, la situazione si sta deteriorando e il rischio di sfollamento e trasferimento forzato per i palestinesi di Gerusalemme Est sta aumentando”.

Il tutto avviene sotto gli ‘occhi’ di Silwan. Occhi che osservano silenziosi ciò che sta accadendo da anni. Si tratta di un progetto di arte pubblica intitolato “I witness Silwan”, che raffigura grandi occhi di personalità locali e internazionali, dipinti sulle case della collina del quartiere arabo. Un gruppo di artisti ha dipinto alcuni muri di Silwan che guardano alla città vecchia con grandi occhi spalancati. I murales stanno lì a ricordare che tutti gli occhi sono puntati sul quartiere dove le forze israeliane e i coloni stanno lavorando costantemente per scacciarli dalle loro case. In totale sono stati realizzati circa 600 metri di graffiti. Come questi occhi aperti teniamo accesa l’attenzione su Gerusalemme Est e su Silwan.

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