di Eric Salerno
Delle guerre coloniali le vittime non sono soltanto quei popoli che abbiamo conquistato e massacrato ma anche coloro che abbiamo mandato a uccidere e conquistare. E’ una realtà spesso trascurata dalla storiografia o per vergogna o per l’incapacità di affrontare un argomento che divide l’opinione pubblica. Un dibattito in questo senso sta prendendo piede in Italia dove molti militari o civili (o loro eredi) mandati da Mussolini a colonizzare la Libia, invece di esaltare l’ “opera civilizzatrice” cominciano a definirsi vittime della politica del regime fascista.
Non voglio entrare nel merito di questa scelta (può apparire tardiva) e trovo sicuramente di grande valore e interesse la ricerca portata avanti sui soldati italiani nella guerra d’Abissinia. Nel suo “I prigionieri di Menelik, 1896-1897” Matteo Dominioni, storico noto per altre opere d’avanguardia sul colonialismo italiano in Etiopia, attinge ai documenti ufficiali e alle testimonianze dei soldati italiani catturati, per anni prigionieri delle loro stesse vittime e poi merce di scambio. Ricostruisce le loro sofferenze e il dibattito politico dell’Italia di allora che servì poco, si potrebbe dire, a modificare l’atteggiamento del nostro paese rispetto a quelle nuove avventure coloniali volute da Mussolini con la riconquista della Libia e in Etiopia.
Il volume si concentra sul racconto delle violenza sui prigionieri – evirazioni, uccisioni sommarie – ma non trascura la portata delle nostre operazioni militari. La testimonianza del tenente Ernesto Cordella, batteria di montagna della Brigata indigeni, è tra le più crude: “…potei constatare gli immensi danni prodotti dalle nostre artiglierie. Erano cataste di morti a cui facevan corona donne piangenti e guerrieri in cerca dei loro cari. Li caricavano a guisa di sacchi su muletti, asinelli e cavalli per trasportarli altrove”.
Nell’altra, Caccia alla gazzella, dà al lettore una dritta: Solo a venti chilometri da Massaua (a otto giorni di piroscafo dall’Italia) si possono godere panorami e incontri con una fauna del più alto interesse. Né Marocco, né Algeria, né Tunisia, né Egitto, tanto esaltati dalle cronache interessate, possono reggere al confronto; eppure questa nostra non ricca colonia non osa sfruttarsi turisticamente. […] Si respira il profumo dell’Africa nel modo più gradito e più comodo. Come si vede, un ‘sano’ nazionalismo (con un occhio furbescamente aperto al business e l’altro sintomaticamente chiuso sull’arida ‘nostra’ Libia), dove la varietà delle razze è addirittura un valore aggiunto. Comisso era diretto in Estremo Oriente e aveva fatto tappa nel porto eritreo.
Matteo Dominioni
I prigionieri di Menelik
Mimesis
pp 240 Euro 20
Dario Borso
Ostaggi d-Italia
Exorma
pp 227 Euro 15,50
Lorenzo Kamel
Ripensare la storia
Le Monnier
pp 176 Euro 13
In copertina: la battaglia di Adua