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Morire per l’ambiente

di Andrea Cegna dal Chiapas (Messico)

In Honduras chi difende l’ambiente ed il territorio viene ucciso, represso e attaccato. I numeri non sono come quelli della Colombia, dove, nel solo 2024, sono oltre 1700 gli omicidi di attiviste e attivisti, ma la situazione non è poi migliore. Solo pochi giorni fa alcuni esponenti della comunità Garifuna sono stati attaccati dalla polizia a colpi d’arma da fuoco durante il recupero di alcune terre, il 14 settembre è stato ammazzato, mentre usciva da una chiesa, Juan Lopez consigliere comunale e attivista ambientalista di Tocoa. L’Organización Fratenal Negra Hondureña (Ofraneh) – che accompagnava le popolazioni intente nel recupero delle proprietà ancestrali della comunità Garífuna, nel Comune di Jutiapa, dipartimento di Atlántida – denuncia l’impresa Palmas de Atlántida, di proprietà degli eredi del magnate dell’olio di palma, Reynaldo Canales, di aver occupato illegalmente i territori di Nueva Armenia e di aver imposto così la monocoltura. Domenica 6 ottobre, mentre i coloni Garífuna stavano recuperando le loro terre, le forze di sicurezza sono arrivate sul posto accompagnate da veicoli pick-up con civili armati e incappucciati, e così sono iniziate le intimidazioni della popolazione afro-indigena.

“Segnaliamo la presenza di agenti di polizia incappucciati”, hanno denunciato le popolazioni Garifune con diversi video diffusi sui social network. Mentre l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani in Honduras (OHCHR) ha espresso la sua preoccupazione per gli atti di violenza commessi contro i membri della comunità Garífuna di Nueva Armenia, nel dipartimento di Atlántida. L’OHCHR ha pubblicato sui suoi account sui social media che il diritto alla vita e all’integrità di coloro che rivendicano il loro territorio ancestrale deve essere garantito. Intanto la famiglia di Juan López, insieme al Comité Municipal en Defensa de los Bienes Comunes y Públicos di Tocoa, ha espresso speranza dopo gli arresti di venerdì 4 ottobre, esplicitando che si augurano davvero che le persone recentemente arrestate siano davvero collegate all’omicidio del 46enne ambientalista. L’avvocato Eddy Tábora, rappresentante legale della famiglia di López e del Comitato, ha dichiarato “ci auguriamo che i quattro arrestati siano coloro che hanno commesso materialmente l’omicidio oppure che siano complici e che per davvero hanno responsabilità penali”.

I dubbi restano tanti e lo stesso avvocato evidenzia che ad oggi le informazioni in suo possesso sono limitate e si basano su quanto è stato reso pubblico dai media. Capita, davanti ai tanti, troppi, omicidi di attivisti e attiviste in Honduras, che gli esecutori materiali siano arrestati, troppo spesso, come nel caso di Berta Caceres, però i mandanti e chi ordisce l’omicidio utilizzando poi criminali per organizzarlo non sia mai consegnato alla giustizia. E’ proprio qui che si crea la fascia d’impunità di cui godono i poteri honduregni. Proprio per questo, lo scorso settembre la Federazione Internazionale per i Diritti Umani scriveva ”la Missione di Osservazione Qualificata sul Caso Berta Cáceres avverte che l’assenza di sentenze definitive per i condannati per l’omicidio dell’attivista e difensore dei diritti del Popolo Lenca, così come l’incapacità dello Stato honduregno di punire efficacemente tutti gli autori intellettuali di questo orrendo crimine, ha permesso che la violenza contro altri difensori continuasse senza sosta negli otto anni successivi al suo tragico assassinio. A questo proposito, ci rammarichiamo che il 14 settembre 2024 il difensore Juan López sia stato assassinato a Tocoa, Colón, nel contesto del suo lavoro in difesa del Parco Nazionale Carlos Escaleras Mejía e dei fiumi Guapinol e San Pedro, a fronte di un megaprogetto promosso dalla Emco Holdings e dai suoi associati”.

Il comunicato stampa prosegue “nel 2020, Berta Cáceres e i difensori del fiume Guapinol sono stati nominati insieme finalisti del Premio Sakharov per i diritti umani del Parlamento dell’Unione Europea, in riconoscimento della loro instancabile difesa della terra, dei fiumi e del territorio e contro i megaprogetti estrattivi. Le analogie tra i casi di Berta Cáceres e Juan López sono notevoli: entrambi erano beneficiari di misure di protezione emesse dalla Commissione interamericana per i diritti umani, che riconoscevano l’imminente minaccia a cui erano esposti per la loro difesa dei diritti umani e dei beni comuni; tali misure non sono state debitamente rispettate per l’effettiva protezione di nessuno dei due.

Sia Berta che Juan sono stati vittime di criminalizzazione da parte della Procura della Repubblica dell’Honduras, che ha usato le accuse per neutralizzare la loro leadership; entrambi sono stati bersaglio di minacce e campagne per stigmatizzare il loro legittimo lavoro in difesa dei diritti umani, che non sono state effettivamente indagate o sanzionate; questa impunità ha permesso che le campagne continuassero fino al momento dei loro vili omicidi”. E sul caso di Juan Lopez c’è anche l’ombra della politica e non solo del suo ruolo come attivista ambientalista. L’omicidio è stato commesso a poche ore dalla grande marcia a Tegucigalpa a sostengo della presidentessa Xiomara Castro, leader dello stesso partito di Lopez, Libre.

Lopez aveva chiesto le dimissione del sindaco di Tocoa, anche lui di Libre, per aver partecipato ad una riunione, con altri vertici del partito, con membri del crimine organizzato. Il video è stato usato per criminalizzare il governo, a Tocoa però ha generato una spaccatura, con Lopez che ha criticato aspramente la scelta dell’incontro. Quest’ombra ricade su Castro e sul ruolo dello Stato honduregno. L’indagine ed il caso Lopez potrebbero raccontare anche più di quello di Berta. Si arriverà mai alla verità e alla giustizia, o lo Stato ed i poteri economici e politici eviteranno anche sta volta di avere verità e giustizia?

In copertina, una veduta di Tegucigalpa, capitale dell’Hondura (da wikipedia)

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