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Muscoli (anche italiani) nel Pacifico. Il punto

di Raffaele Crocco

E’ geniale scoprire l’ovvio. Nel Risiko mondiale giocato sul confronto fra “filoamericani” e “antagonisti”, a vincere la palma della genialità questa settimana è la testata The Economist. Lo fa lanciando un allarme: le principali agenzie di intelligence europee e nordamericane – scrive – sarebbero in agitazione. Ad agitarle sono le manovre che Mosca e Pechino avrebbero avviato, con l’obiettivo di boicottare i cavi sottomarini che trasportano le maggior parte del traffico Internet in tutto il mondo. I governi d’Occidente temono che, in caso di crisi o di conflitto globale, le due superpotenze possano paralizzare il traffico in Rete.

Se questo timore è davvero figlio di questi giorni, c’è da preoccuparsi. Dovrebbe essere ovvio da decenni che, in caso di guerra, qualsiasi nemico al Mondo tenterebbe di bloccare ogni strumento di informazione, ogni rete di comunicazione e viaria, ogni possibile centrale di energia dell’avversario. Eppure, l’allarme è incredibilmente al centro dell’attenzione solo oggi, tanto da sembrare utile a chi vuole gettare nuova benzina su un incendio – quello dello scontro militare fra le parti – che pare sempre più esteso. Mentre The Economist scrive, nel Pacifico Occidentale e Settentrionale, Cina e Russia danno segni di maggiore concretezza, con una esercitazione navale congiunta.

Il Ministero della Difesa cinese si è affrettato ad annunciare che “l’operazione non ha nulla a che fare con le situazioni internazionali e regionali e non intende prendere di mira una terza parte”. Iniziata nella provincia di Guangdong, per il governo di Pechino l’esercitazione ha lo scopo di “dimostrare le capacità delle forze militari navali nel far fronte a minacce alla sicurezza e, dicono, nel preservare la pace e la stabilità a livello globale e regionale”. Il dubbio, però, resta. L’esercitazione è iniziata proprio all’indomani o quasi dello scontro diplomatico tra i Paesi Nato e la Cina. Il vertice di Washington ha lasciato scorie pesanti e difficili da superare. I 32 Paesi membri dell’Alleanza hanno chiarito che la Cina sta diventando il vero nemico dell’alleanza militare e questo Pechino non l’ha digerito. L’Alleanza, poi, ha calato l’asso: lo scorso 12 luglio, l’Italian Carrier Strike Group, costituito dalla portaerei Cavour, nave ammiraglia della Marina Militare e dalla fregata Alpino, è arrivato a Darwin, in Australia. La crociera è servita per partecipare alla “Pitch Black 2024”. Si tratta di un’esercitazione aerea su larga scala organizzata dalla Royal Australian Air Force (RAAF) e che riunirà per tutto il mese di luglio 2024 equipaggi e velivoli di circa 20 nazioni tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Spagna, Grecia, Germania e Australia.

Insomma, si mostrano i muscoli e intanto si uccide. Il bilancio dei morti a Gaza è salito a quota 38.664, di cui 80 nei primi giorni di questa settimana di luglio 2024. I feriti sono 89.097. Lo ha reso noto il ministero della Sanità di Hamas, ma c’è ormai la certezza di un dato sottostimato, come abbiamo scritto su www.atlanteguerre.it in questi giorni. Come se non bastasse il massacro dei palestinesi, all’inizio della settimana aerei israeliani hanno colpito “infrastrutture terroristiche degli Hezbollah nelle aree di Houla, Kfarkela e Bani Haiyyan nel sud del Libano”. L’esercito di Tel Aviv ha detto anche che l’artiglieria israeliana ha colpito “nelle aree di Blida, Deir Mimas e Rmeish per rimuovere una minaccia”. La risposta di Hezbollah si è concretizzata nel lancio di una ventina di razzi contro il territorio israeliano. La guerra rischia di allargarsi, di diventare regionale. Il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri, ha avvertito il governo israeliano: “il Libano sarà sicuramente un inferno per i sionisti, se oseranno lanciare una guerra su larga scala contro il Paese arabo”.

Più a Sud, i ribelli Houthi hanno attaccato due navi commerciali nel Mar Rosso, una delle quali ha subito danni, ma non ha richiesto assistenza. In un primo attacco hanno utilizzato due piccole imbarcazioni e un drone marino. Poi, è stato lanciato un missile balistico da un’area dello Yemen.

Si combatte e si muore ancora anche in Ucraina. I russi hanno schierato il loro unico sistema di difesa aereo in Crimea. E’ l’S-500, più conosciuto come Prometheus. Permette di intercettare i missili balistici e altre armi a distanza. Non era mai stato utilizzato in battaglia. Sul terreno, le forze armate russe continuano la loro pressione sugli ucraini. Le unità di Kiev si sono ritirate dal villaggio di Krynki sulla riva sinistra del Dnepr. Era stato riconquistato nell’ottobre 2023. Gli eserciti sembrano logorarsi in una lotta senza fine e vincitori. La diplomazia resta immobile, incapace di trovare soluzioni. O forse senza alcun interesse nel trovarle.

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