Nicaragua, tan Lejos de Dios

Un regime che non guarda in faccia a nessuno, Nemmeno al Papa che teme un Paese senza più sacerdoti

di Gianni Beretta

Domenica scorsa in San Pietro, dopo l’Angelus, papa Francesco è tornato a riferirsi con preoccupazione del Nicaragua: “All’amato popolo nicaraguense: vi incoraggio a rinnovare la speranza in Gesù; ricordate che lo Spirito Santo guida sempre la storia verso progetti più alti; la Vergine Immacolata vi protegga nei momenti di prova e vi faccia sentire la sua tenerezza materna”. Frasi timide, rassegnate, come che non ci sia più niente da fare. Tutto un altro tono rispetto allo scorso anno quando il pontefice argentino si era avventurato a paragonare Dniel Ortega a Hitler.

Erano mesi che in Vaticano si osservava un incomprensibile silenzio sul Paese centroamericano nonostante seguitasse la feroce persecuzione nei confronti della chiesa cattolica, che ha portato (dalla rivolta popolare del 2018) all’incarceramento e successiva espulsione di due vescovi, 154 sacerdoti e 91 suore, privati pure della cittadinanza. Come che fosse intercorso una sorta di tacito accordo di non belligeranza fra il regime del Presidente Daniel Ortega e la Santa Sede. Riserbo assoluto osservato in primis dallo stesso arcivescovo metropolitano di Managua, cardinal Leopoldo Brenes. “Nel timore che l’intero paese possa rimanere del tutto senza preti” ci aveva paventato nel luglio scorso su queste pagine l’ex comandante guerrigliera sandinista Dora Maria Téllez (anch’essa da tempo in esilio). Tanto che nella diocesi rurale di Matagalpa i preti sono stati ridotti a un quarto. Ebbene gli arresti di presbiteri sono ripresi con lena. E altri sette di loro all’inizio di agosto sono stati deportati col primo aereo verso lo stato pontificio. Paiono salvarsi solo i religiosi filo orteguisti o i ricattabili, compreso qualche prelato.

Non solo. Dopo aver cacciato il nunzio apostolico (e congelato le relazioni diplomatiche), chiuso le emittenti radio cattoliche, proibito le processioni al di fuori dei luoghi di culto, confiscato i beni ecclesiastici ed espropriato (esattamente un anno fa) l’università dei gesuiti, è arrivata la ciliegina sulla torta: la tassa sulle elemosine. La vicepresidente (e consorte) di Ortega, Rosario Murillo, ha infatti introdotto una norma che estende il regime fiscale dell’economia privata anche alle istituzioni religiose e a qualsiasi donazione (con imposte dal 10 al 30%).
Non si salvano neppure le chiese evangeliche. Inclusi i predicatori delle sette fondamentaliste, che pure in certe circostanze erano stati persino promossi dalla dinastia degli Ortega proprio in contrapposizione agli ecclesiastici cattolici. Mentre l’esoterica doña Rosario, prima ministro a tutti gli effetti, nei suoi discorsi radio/tv di ogni mezzogiorno, si erge a unica tenutaria della fede nel dio “todo poderoso”.

Come se non bastasse, oltre a ogni fede religiosa e all’azzeramento di qualsiasi residuo barlume di opposizione, il regime ha messo al bando altre 1.500 Ong, che si aggiungono alle oltre 3.500 chiuse ed espropriate dei propri beni dal 2018. Dove per ong non si intendono solo le organizzazioni non governative senza fini di lucro legate alla cooperazione internazionale, e dunque agli ormai tanto famigerati “agenti stranieri” (di putiniana memoria). Ma della società civile e dell’associazionismo in generale sul territorio: sindacale, imprenditoriale, di entità culturali, del mondo del volontariato, indigene, sportive… Con l’obbligo per quelle superstiti di “collaborare con lo stato”. Il che ha provocato “profonda preoccupazione” presso l’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu.
Da ultimo Rosario Murillo, nella suo dispotismo, è arrivata ad esautorare nientemeno che il capo della scorta del marito Daniel (di fatto ormai assente) quale ennesima purga dei funzionari pubblici, della polizia e dell’esercito di cui non si fida. Oltre ad aver sottoposto agli arresti domiciliari il proprio cognato, generale Humberto, ex capo dell’esercito durante e (per un periodo) anche dopo la rivoluzione.

Del resto il Nicaragua è ormai equiparabile a una Corea del Nord in chiave latinoamericana, dove però è ancora permessa (anzi incoraggiata) l’emigrazione. E per un motivo preciso: le rimesse familiari (ammontate lo scorso anno a quasi 5 miliardi dollari) che salvano il bilancio delle famiglie e dell’intera economia nicaraguense. Senza contare poi, analogamente ai sempre più stretti rapporti fra Mosca e Pyongyang, il rafforzamento della base di spionaggio russa allestita sul Cerro Murukuku, a sud della capitale Managua.

In copertina: Antigua Catedral de Managua (wikifile)

Tags:

Ads

You May Also Like

Lo sciopero dei camionisti no-vax in Canada

Aderisce solo il 10 percento dei truckers nella contestazione che sta paralizzando il Canada. E mentre irrompe la destra estrema e arriva sostegno da gruppi americani nasce la prima imitazione del modello di protesta anche  in Nuova Zelanda  

di Maurizio Sacchi Le proteste dei camionisti  legate al Covid hanno paralizzato Ottawa, la ...

Xi-Biden: dialogo difficile ma si rompe il gelo

Taiwan, i diritti umani, la concorrenza. Una telefonata di oltre tre ore importante ma che non ha risolto i nodi dello scontro tra Usa e Rpc

di Maurizio Sacchi L’incontro virtuale dei Presidenti Joe Biden e Xi Jinping  è durato ...

Carcerati come bestie

Nel Salvador prigioni super affollate e diritto di sparare a vista ai sospetti. Un anticipazione del nostro dossier sulla condizione carceraria nel Mondo che esce alle ore 11 di oggi

Nessuno prova certo  simpatia per i pandilleros, ragazzi e adulti delle bande criminali – le ...